Lisola Del Rifugio

By Lenny Bruce

Published on Jan 5, 2023

Gay

DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.

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Questo è il dodicesimo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.

CAPITOLO 12 - Scuola, feste ed esplorazioni

22 novembre 1950

Come promesso, la scuola cominciò il giorno dopo.

Mentre Kevin cercava di spiegare l'algebra a Tommy, Angelo e Joel, Richard cominciò a parlare di letteratura inglese e di grammatica con gli altri.

Per i primi tempi avrebbero cercato di capire quale fosse il livello di preparazione di tutti, insegnanti e alunni, e ne venne fuori una situazione abbastanza incoraggiante, considerate le condizioni di precarietà in cui la maggior parte di loro aveva frequentato la scuola.

E fu meno traumatico del previsto, tanto che, nonostante i dubbi che l'idea di studiare aveva generato, tutti parteciparono con molto più interesse di quanto avessero immaginato.

I pomeriggi furono dedicati a fare qualche lavoretto e all'allenamento per la caccia, finché, il giorno prima di Thanksgiving, appena dopo pranzo, si mossero in tre, con l'atteggiamento studiatamente guardingo dei cacciatori esperti.

Mike era il capo e guidava la spedizione, seguito da Terry, in quel caso suo assistente, anche perché provetto pescatore. Terry partecipava alla spedizione per la sua riconosciuta abilità nel lancio della rete, mentre Joel, che chiudeva la fila, era là in rappresentanza della cucina, visto che François non poteva ancora sforzare la gamba.

Ci sarebbe andato anche Angelo, ma Richard lo trattenne al campo con una scusa, perché voleva che Terry e Joel provassero a parlarsi senza la sua mediazione.

La spedizione era simile alle altre che facevano quasi tutti i giorni per la raccolta delle uova, se non fosse che questa volta i ragazzi portavano una rete, accuratamente ripiegata, delle mazze e un coltello.

"Cercate di non farvi male!" gli gridò Richard, mentre si allontanavano.

"Si, papà!" urlò Terry.

"Dovete catturare un pellicano, ragazzi. Non confondetevi, è lui che dovete ammazzare, non riportate Joel spennato!" gridò François.

"È troppo magro, è tutto ossa!" aggiunse Kevin fra le risate di tutti.

Arrivarono in fretta alla riserva e scelsero un gruppo di nidi su cui erano posati degli esemplari di pellicano ben pasciuti. Attorno ce n'erano molti altri che volteggiavano nel cielo, scendevano sul nido a nutrire i piccoli e poi ripartivano per pescare un'altra volta. Stettero ad osservarli e infine decisero di attaccarne uno, che pareva un po' più grosso degli altri. Si avvicinava sempre ad un nido che era accudito anche da un altro pellicano, la femmina.

Il problema morale di uccidere il possibile padre di quei piccoli non sfiorò nessuno dei tre. Se ci fosse stato Richard, certamente avrebbero lasciato perdere tutto e a quel punto a Mike parve chiaro perché il loro capo avesse così categoricamente rifiutato di unirsi al gruppo dei cacciatori.

La scogliera offriva molti nascondigli e gli uccelli non parevano intimiditi dalla loro presenza, presto, però, non sarebbe stato così, perché avrebbero imparato a conoscerli e a temerli.

Questo pensiero diede a Mike un piccolissimo brivido, erano certamente le idee di Richard a condizionarlo, ma dimenticò subito la questione e riprese a guardarsi intorno e soprattutto a valutare il suo avversario involontario e ancora inconsapevole.

Il povero pellicano se ne stava tranquillo a riposarsi di fianco al nido in cui i pulcini urlavano per la fame, in attesa che la mamma o il papà li nutrissero, rigurgitandogli il cibo in gola. Mike pensò un'altra volta a quello che avrebbe detto Richard davanti a quel quadretto familiare, ma scacciò ancora il pensiero, sostituendolo con i ricordi, non particolarmente gradevoli, ma comunque appetitosi, dei suoi pranzi di Thanksgiving, quando la mamma portava in tavola il tacchino ripieno. E per portare qualcosa di simile in tavola qui a Venture Island, occorreva che lui, almeno per questa volta, non avesse il cuore tenero.

Si concentrò sui suoi Thanksgiving, cercando di eliminare la parte fastidiosa del ricordo, legata alla presenza di suo padre e quasi sentì in bocca il gusto croccante, anche bruciacchiato, del tacchino, che però non era meno attraente, perché assieme gli pareva di assaporare la felicità tutta infantile, sua e della sorella, nel vivere quel giorno di festa. E poi la fragile figura di sua madre che, almeno in quei momenti, era come ammantata d'eroismo per sopravvivere accanto a quell'uomo spregevole.

Si accordarono a gesti, disponendosi all'attacco, con una perfetta tattica di accerchiamento. Terry lanciò la sua rete con un movimento perfetto e il povero pellicano restò impigliato, strepitando offeso, aprendo le ali per liberarsi, beccando furiosamente da una parte e dell'altra. Allora Mike lo tramortì con una mazzata sulla testa.

A quel rumore, sulla sterminata colonia, scese un silenzio minaccioso, tanto che a Joel sfuggì un gemito, ma durò solo qualche secondo, perché subito la vita riprese e ricominciò il rumore, lo strepito assordante prodotto dalle migliaia di uccelli, con i loro versi e lo sbattere delle ali.

Terry e Joel tirarono la rete e Mike poté avvicinarsi per sgozzare il pellicano.

Non pensava che la cosa potesse turbarlo tanto, ma quando ebbe finito le mani gli tremavano e aveva il fiatone. Non appena fu in grado di pensare, concluse che la caccia fosse una faccenda davvero molto seria e Richard aveva ragione ad essere così restio a permetterla. La carne era necessaria, ma non dovevano assolutamente abusare. Avrebbero ucciso solo gli animali indispensabili al loro sostentamento e quando non fosse stato possibile fare diversamente.

Il pellicano che avevano preso era un bell'esemplare di almeno dieci chili e, con il ripieno, li avrebbe sfamati e soddisfatti per il Thanksgiving. L'appesero ad una delle mazze e presero la strada del ritorno.

Fino a quel momento Terry e Joel non si erano praticamente parlati, restando a prudente distanza l'uno dall'altro.

In quei giorni fra loro c'era sempre stato Angelo, che aveva mediato la tensione che non si era ancora allentata. Sulla via del ritorno, però, si ritrovarono da soli, mentre portavano sulle spalle il palo cui era appeso il pellicano che per loro era ormai diventato un tacchino. Sarebbe stato più logico che l'avessero trasportato Terry e Mike che avevano quasi la stessa altezza, ma il cacciatore capo era rimasto indietro perché gli era improvvisamente venuta voglia di un po' di frutta ed aveva avuto anche un impellente bisogno fisico. Almeno così aveva detto, invitandoli a proseguire da soli, che poi li avrebbe raggiunti.

Camminavano facendo qualche acrobazia per non fare scivolare il pellicano, o tacchino che fosse. Joel davanti, ancora un po' zoppicante per i punti alla gamba, Terry dietro a pensare.

In quei giorni aveva pensato tanto, ma la situazione di loro tre era proprio complicata. Lui amava Angelo e Joel pure. Angelo gli aveva confidato che li amava tutti e due, ma che ne pensava lui di Joel? E Joel di lui? E per giunta Angelo gli aveva detto che, per capire, dovevano aspettare. Era tutto troppo macchinoso e quell'attesa lo faceva soffrire.

Il Terry di qualche settimana prima, anzi di nove giorni prima, perché erano trascorsi nove giorni dal momento in cui la sua vita era diventata così insopportabile, quel Terry avrebbe dato un calcio a tutto e si sarebbe voltato da un'altra parte a cercare un modo diverso per stare allegro, invece il Terry che portava il pellicano, che tutti credevano un tacchino, decise che doveva capire.

"Joel... che cosa pensi veramente di me?"

"Che sei uno stronzo!" fece senza voltarsi.

"Solo questo?"

"Se l'avessi fatto a me, ti avrei ammazzato!"

"Anch'io avrei fatto lo stesso, se ti può consolare!"

"E allora che aspetti?"

"Joel... che aspetto cosa?"

"A sparire!"

"Mi dispiace."

"Che aspetti ad andartene dall'altra parte dell'isola?" disse sempre senza voltarsi.

"Mi dispiace" fece Terry un'altra volta, con la voce che era improvvisamente ridotta a un sussurro.

"A me non basta. Dici che ti dispiace?" rincarò Joel "Se ad Angelo è stato sufficiente che tu ti mettessi a piangere, a me non è bastato. Va bene?"

"Hai ragione, scusami" bisbigliò con il fiato residuo, perché gli pareva di soffocare. Poi finalmente capì perché Angelo gli avesse chiesto di aspettare.

Fecero ancora qualche passo.

"Joel, che vuoi che faccia?"

"Se proprio non puoi andartene da un'altra parte" disse guardando ostinatamente avanti "almeno stai lontano da noi, il più possibile!"

E fu così che la breve trattativa si arenò.

Quando gli parve che avevano esaurito la discussione, Mike si avvicinò e sostituì Joel nel trasporto del tacchino che, agli occhi di Terry, era decisamente tornato ad essere un pellicano morto, con le penne arruffate e un aspetto poco appetitoso.

François li accolse con entusiasmo. Afferrò la preda, che per lui era proprio un bel tacchino, e tenendola per le zampe se ne andò trionfante dalle parti della buca dei rifiuti, conscio che il lavoro che stava per fare non sarebbe stato piacevole. Spennare e liberare dalle interiora un uccello non era cosa da far vedere a quei teneroni di Richard e Tommy e non è che Angelo e Manuel fossero da meno. Alla fine, però, la carne l'avrebbero mangiata tutti, come mangiavano il pesce, che aveva lo stesso le interiora e squame al posto delle penne. Forse che a togliere le penne si faceva meno male che a squamare un pesce? Misteri della coscienza umana, pensò, i pesci si e gli uccelli no? Forse perché erano più vicini agli uomini nella scala evolutiva. Chissà che avrebbero fatto se avessero avuto anche dei vitelli o dei maiali, perché difficilmente avrebbero rinunciato al fascino di una bistecca, di un hamburger o di una fetta di prosciutto. A lui venne l'acquolina solo a pensarci, ma chissà che avrebbero fatto gli altri. Avrebbero mangiato, ne era certo.

Forse suo padre gli avrebbe suggerito qualcosa per comprendere quel mistero, ma il papà non c'era più a dispensare la sua saggezza, però c'era Richard che era come suo padre, con il vantaggio che avendo quasi la stessa età riusciva a capirlo più in fretta e a dargli sempre le risposte che lui si aspettava. Tranne che in questo caso, forse.

Amava davvero Richard e adesso l'amava come aveva amato suo padre.

"Cucinerò il tacchino seguendo la ricetta tradizionale del Massachusetts" annunciò, mentre si dava da fare con il coltello sotto gli occhi di un inorridito Joel "però mi toccherà cambiare alcuni degli ingredienti. Credo che difficilmente al mercato troverei i porri, oppure i cavoli per il ripieno!"

"Anche lei, signora, ha problemi con la verdura, vero?" fece Kevin che era rimasto prudentemente un poco indietro, ma che ogni tanto sbirciava incuriosito.

"Oh, si, cara, dopo la guerra è sparito tutto!"

"Non me ne parli, la guerra è finita da quattro anni e noi siamo sempre nelle stesse condizioni!"

"Ehi tu, stai attento a non avvelenarci con qualcosa che vuoi spacciare per una pannocchia di granturco!" gridò allora Richard, ben distante, ma che seguiva preoccupato l'operazione.

Stava giocando a baseball con Mike e Tommy, senza molto impegno, distratto da quello che accadeva al pellicano o tacchino. Terry e Angelo si erano avvicinati, Manuel gli si era seduto accanto.

Da qualche giorno il baseball era lo sport più praticato a Venture Island. Avevano costruito gli attrezzi e tracciato il campo ed ora erano in grado di organizzare delle vere partite su un fantastico campo d'erba di lato alla radura. C'era il pericolo che la palla finisse nel laghetto, ma se si era lesti a recuperarla, non subiva danni, visto che era fatta di tela cerata.

Tornare a giocare aveva fatto bene soprattutto a Kevin che era stato felice, quando Mike gli aveva mostrato le mazze che aveva ricavato da alcuni paletti. François e Manuel avevano cucito i guantoni e le palle, sfruttando pezzi di vela e tela cerata. Non avevano potuto farli di cuoio perché sull'isola non ce n'era, ma anche così assolvevano abbastanza bene alla loro funzione.

Mike e Tommy si stavano allenando.

Kevin aveva recuperato tutta la sua esperienza di giocatore. Quando aveva ripreso in mano il guantone, che era in tutto simile a quelli di cuoio, l'aveva infilato, aveva fatto tutti i movimenti che ricordava per adattarlo alla mano e gli erano brillati gli occhi. Invece di scoppiare a piangere, come aveva temuto per un momento, aveva lanciato un urlo di contentezza ed era caduto in ginocchio. Aveva alzato il braccio ed aveva urlato ancora.

Ora era tornato sul campo e stava spiegando a Tommy come fare ad ottenere un tiro ad effetto. Mike era alla battuta e Richard aveva solo il compito di recuperare velocemente la palla e perciò poteva distrarsi.

Guardava i suoi ragazzi.

Kevin pareva finalmente felice, senza più ombre nello sguardo, Mike anche lui liberato dai fantasmi e Tommy che non aveva più avuto incubi e non si era più svegliato di notte. Erano una famiglia, che si prendeva cura dei figli, dei più piccoli e dei grandi, una famiglia in cui tutti erano figli e alcuni erano anche padri. Avevano una casa e le loro abitudini, delle regole, precise, forse severe, ma sempre dettate dall'amore.

Doveva proteggere quella famiglia, fare in modo che nulla e nessuno riuscisse a disperderla.

Domani sarebbe stato il giorno del ringraziamento, una giornata di festa, niente scuola e soltanto giochi. Quello sarebbe stato il suo primo Thanksgiving vissuto in una famiglia che non stava insieme per convenienza, ma fatta di persone che si amavano davvero. Non avrebbero rispettato la tradizione del tutto, perché avevano un pellicano al posto del tacchino e non ci sarebbe stata la crostata di zucca, perché sull'isola non c'erano zucche, ma sarebbe stato tutto infinitamente più bello, più buono, certamente più saporito.

Quante volte aveva sognato di essere abbracciato dalla mamma e dal papà, non perché erano costretti a farlo, ma solo perché gli volevano bene.

Che non l'amassero l'aveva capito quando aveva un poco meno di tre anni. Per lui era stata una rivelazione cogliere lo sguardo di sua madre, mentre l'abbracciava e lo baciava, fisso sul nonno, per essere certa che il vecchio si accorgesse di quelle effusioni. Era Natale e aveva capito, non sapeva come, che lei stava fingendo e che tutte le dimostrazioni d'affetto che aveva avuto e riceveva, da lei e anche dal papà, non erano che una simulazione a beneficio del nonno. Il vecchio doveva essere sicuro che loro amassero il bambino, che l'accudissero e che il piccolo ricambiasse quel sentimento, che fosse felice, doveva crederlo per continuare a concedere a loro tutti i lussi a cui erano abituati.

E lui non li aveva mai delusi, fingendo sempre un trasporto che aveva capito di non provare. Gli era rimasto così un desiderio inappagato di amare e di essere amato. A quel bisogno, che si era fatto sempre più pressante, non avevano mai risposto le governanti e le bambinaie che avevano popolato la sua infanzia, né gli insegnanti della sua adolescenza. E neppure il nonno, burbero, precocemente invecchiato, intrattabile, che forse proprio con la sua durezza aveva reso suo figlio debole e dissoluto e non aveva mai voluto occuparsi direttamente del nipote, assicurandosi soltanto che avesse sempre tutto quello che il denaro poteva comprare. E che a Richard non interessasse il denaro e che non volesse farsi comprare, era una cosa che aveva compreso solo negli ultimi anni, quando era cresciuto.

Forse per i ragazzi il Thanksgiving e tutte le feste erano state tra i momenti più penosi nella loro già difficile vita, forse qualcuno di loro aveva sognato che, per incanto, una fata, un folletto, uno gnomo o il genio della lampada, qualcuno li portasse dove ci fossero soltanto sorrisi e scherzi bonari e canzoni, cibo caldo e gustoso e dolci a volontà. Forse nei loro sogni c'era stato un papà o un nonno, chiunque fosse, che, prima di tagliare il tacchino, dicesse una preghiera, la stessa di ogni anno, per essere certi che nulla sarebbe mai cambiato e che tutto fosse com'era stato sempre, anche se erano soltanto sogni.

Mamme, papà, nonni, fratelli, la casa, il giardino, a lui era stato negato quasi tutto dall'eccesso di lusso e di ipocrita cortesia che dominava il suo mondo, ai ragazzi dalla cattiveria, dall'incuria, dalla sciatteria di un mondo in cui erano possibili le brutte cose che erano accadute a ciascuno di loro.

"Oh, insomma papà!" urlò Tommy pestando i piedi arrabbiato, strappandolo ai suoi pensieri "Insomma... prendi la palla, papà, non dormire!"

Era finita in acqua, ma se Richard avesse seguito il gioco, invece di distrarsi, l'avrebbe certamente presa al volo. Perciò fu costretto a tuffarsi e recuperarla dal centro del laghetto, inseguito da Tommy, furioso per l'interruzione.

Doveva proteggere quella famiglia, anche a costo della vita. Anche se avesse dovuto trascorrerla tutta là, a Venture Island.

23 novembre 1950

Quando fu il momento, François sfornò il pellicano che agli occhi di tutti era ormai un autentico tacchino del ringraziamento. A dire il vero, il cuoco aveva avuto bisogno di un altro volatile da cuocere a parte per ricavare il brodo necessario alla preparazione di quello principale e Mike e Terry, quella stessa mattina, erano stati costretti ad un lavoro straordinario per catturarne uno più piccolo.

Alla fine, però, sfruttando la fantasia e le poche spezie recuperate dalla cucina della Venture, François era riuscito ad ottenere una pietanza dall'odore così appetitoso che proprio tutti avevano cominciato a ronzare attorno alla cucina, finché François non li aveva minacciati con il mestolo. Ma anche quello faceva parte della tradizione. Poi a Mike era stato concesso un assaggio e lì erano cominciate le proteste sedate a stento da Richard che era riuscito ad ottenere che tutti potessero assaggiare almeno un pezzettino del pellicano, cosiddetto, minore.

Il ripieno era fatto con una specie d'insalata che sostituiva il porro della ricetta originale. Avevano trovato l'illustrazione della pianta sul manuale di botanica e, scoperto che era commestibile, ne avevano già mangiata nei giorni precedenti, senza averne conseguenze sgradevoli.

Il forno interrato in cui era stato cotto il pellitacchino l'avevano costruito Terry e Mike, sfruttando l'idea trovata da Manuel in uno dei libri che era il diario di un viaggiatore del diciottesimo secolo. L'uomo era stato il primo ad arrivare in quelle isole e a conoscere i nativi della Polinesia. Aveva descritto benissimo, facendone anche un disegno, il forno usato dalle popolazioni delle isole di Tonga.

Per costruirlo scavarono una buca nel terreno e sul fondo accesero un bel fuoco con della legna molto secca. Sulle fiamme posarono delle grosse pietre rotonde. Come il fuoco prese ad ardere e a consumare la legna, le pietre si spostarono verso il fondo. Il cibo da cuocere doveva essere avvolto in foglie di banana e posato sulle pietre, poi fu coperto da sacchi di iuta e sopra ancora uno strato di terra.

Come scoprirono dopo molti tentativi, tutto il calore era trattenuto dai sacchi e dalla terra e il cibo cuoceva uniformemente, senza perdere nessuno dei suoi sapori. Gli esperimenti fatti, dopo aver costruito il forno, avevano fatto bruciare o cuocere troppo poco alcune centinaia di pesci e uova e frutti, ma alla fine ci erano riusciti, per merito di François e della sua esperienza di cuoco, che aveva controllato la potenza del fuoco e del calore.

Perciò, quando introdussero il tegame con il pellitacchino, lo fecero con una certa sicurezza di vederlo riemergere ben cotto.

Avendo un forno a disposizione, François aveva anche impastato la poca farina che c'era a Venture Island ed aveva ottenuto una specie di torta dolce. Chiudendo gli occhi e facendo il solito esercizio di fantasia, ebbero anche una crostata, di zucca o di chissà cosa, ma che era indispensabile per celebrare un vero Thanksgiving. Nel complesso il colore era abbastanza vicino all'idea che tutti avevano di una torta di zucca, ma il sapore, per quanto gradevole, era proprio diverso, perché in realtà si trattava di una crostata fatta con polpa di mango, cocco e banane.

Terry, Tommy e Richard avevano procurato frutta, pesci e crostacei in abbondanza. Kevin e Manuel avevano pensato ad apparecchiare la tavola quasi in riva al laghetto, dove, nei giorni precedenti, Mike aveva costruito un tavolo grande abbastanza per tutti e nove e perfino delle panche. La decorazione della tavola, molto artistica e colorata, fatta con fiori e foglie, era stata realizzata da Angelo.

"Per stare seduti come dei cristiani, alla tavola, nel giorno del ringraziamento!" aveva sentenziato Mike, dando gli ultimi colpi di martello.

Quando finalmente furono tutti seduti, erano davvero contenti, perfino Terry che sedeva felice tra Angelo e Tommy.

Con tutta la solennità che era richiesta dal momento, François e Joel portarono il tacchino, superbo e fumante, una pietanza dall'aspetto attraente, posandolo con deferenza davanti a Richard. Erano tutti pronti e con l'acquolina in bocca, in attesa che il loro papà, per quasi tutti il migliore o l'unico che avessero mai conosciuto, si desse da fare a tagliare il tacchino e a distribuire le parti.

Prima però dovevano recitare la preghiera e Richard sapeva che i ragazzi si aspettavano anche quello. Non conoscendone nessuna che andasse bene per l'occasione si era affidato alla memoria di François che gliel'aveva dettata.

Quando erano davvero felici, suo padre la recitava ogni anno, aveva confidato. E l'ultima volta, erano riusciti appena a sentirlo, perché la voce era diventata così debole, per come era ammalato.

Richard s'alzò e prese la mano a Kevin e Tommy. Loro fecero lo stesso con Manuel e Mike e presto attorno al tavolo ci fu un cerchio di ragazzi che si tenevano per mano.

"Padre nostro che sei nel cielo" cominciò Richard che, non volendo leggerla, aveva mandato a memoria la preghiera e la recitò con molta convinzione "ti ringraziamo per averci riuniti in questa occasione. Ti ringraziamo per questo cibo preparato da mani amorose. Ti diamo grazie per la vita e la libertà di godere tutto questo e tutte le altre benedizioni. E come noi mangiamo questo cibo, ti preghiamo di darci la salute e la forza per andare avanti e vivere come tu vuoi che facciamo. Questo ti chiediamo nel nome di Cristo, padre celeste."

François piangeva già prima che Richard cominciasse, ben sapendo quali parole avrebbe ascoltato e tutti gli altri si disponevano a commuoversi o avevano già le guance bagnate. Sarebbe finita in un diluvio di lacrime se, appena finita la preghiera, Tommy, nonostante stesse già piangendo, non avesse urlato:

"Ehi... io ho fame!"

E fu così che, senza perdere altro tempo, Richard attaccò il pellitacchino, aprendolo con una perizia miracolosa, visto che non l'aveva mai fatto prima, e comunque non gli era mai capitato di fare da capofamiglia in un Thanksgiving. Affettò pezzi appetitosi e abbondanti che distribuì, come era tradizione, servendo per primo il più piccolo dei ragazzi.

Il più affamato e quello che più di tutti meritava attenzione era Mike che, con merito, ebbe il pezzo più grosso. Mangiarono a sazietà e con il formidabile appetito che avevano sempre, spazzarono tutto il ben di dio che erano riusciti a mettere in tavola. Alla fine giocarono e si rincorsero sull'erba e nell'acqua e al tramonto, nel languore di quei momenti, finirono per fare l'amore.

Quando capì quello che stava per accadere, Terry cercò, per quanto possibile di scomparire e se ne andò nella casa, visto che tutti i ragazzi avevano scelto altri posti per festeggiare, ognuno a modo proprio, quel giorno speciale.

Si accoccolò in un angolo, cercando di non pensare, ma cominciò lo stesso a piangere. Si trascinò a letto e si addormentò così profondamente che non lo svegliarono neppure i suoi compagni quando tornarono.

Il primo a sbucare dalla botola sul pavimento fu proprio Angelo che, vedendolo da solo nel grande letto di Richard, sentì che non poteva più aspettare e decise di fare una cosa che rimuginava già da qualche giorno.

Si voltò, guardò in basso e fissò Joel che lo seguiva sulla scala:

"Scendi, dobbiamo parlare!" disse perentorio.

"Ehi, avevi detto che volevi dormire. E poi io ho sonno!"

"Ho detto: scendi!"

Joel capì che non c'era molto da discutere. Sapeva per esperienza che qualche volta, sotto il carattere dolce di Angelo, affiorava una volontà piuttosto forte e allora non c'era niente da fare se non assecondarlo.

Tornò indietro e l'attese di sotto.

Angelo lo prese per un braccio e se lo tirò dietro fin sulla spiaggia.

Era notte di luna piena, illuminata da una luce spettrale, insolitamente forte e sufficiente a rischiarare i volti, a far capire le espressioni e soprattutto a rendere visibili gli occhi di Angelo che erano spalancati e fissi su di lui. E lo sguardo che vi si leggeva non era per niente benevolo, lo si sarebbe detto piuttosto esasperato.

"Tu sei geloso" gli stava dicendo e Joel finalmente capì ciò che stava per accadere "Non so che cosa vi siate detti durante la caccia, ma Terry è spaventato e quasi non vuole parlarmi. A te poi non si avvicina neppure. Joel, insomma, io voglio bene a Terry e a te allo stesso modo, capisci? E voglio che anche voi due vi vogliate bene come io ne voglio a voi. È chiaro?"

"Che vuoi dire?" chiese con una voce che già volgeva al pianto "Che fra noi non è più come prima?"

In quel momento non gli importava più di nulla e quella sua paura di piangere gli pareva appartenesse ad un'altra persona. Stava per disperarsi, altro che piangere.

"No, scemo, è tutto come prima" lo tranquillizzò Angelo "ma voglio che fra noi torni tutto com'era prima che accadesse quella cosa! Oh, Joel, io voglio che tu torni a voler bene a Terry!"

"Ma lui ti ha fatto del male!" gridò.

"È vero, ha sbagliato, ma si è pentito! Ne abbiamo già parlato, no?"

"Si, ma tu piangevi tanto e poi hai detto che mi amavi" disse Joel triste "io credevo che noi due saremmo stati insieme, per sempre!"

"E non ho cambiato idea in niente, Joel, fra noi sarà sempre com'è ora!"

"Sicuro? Proprio sicuro?"

"Si, sicuro, sicuro" e lo prese da sotto le ascelle, facendogli il solletico. Cominciarono a ridere e finirono per terra rotolandosi.

"Giuramelo, allora!"

"Si, scemo. Te lo giuro!

"Angelo, io..."

"Ma non capisci che Terry ci vuole bene, che è dispiaciuto da morire. Ci vuole bene a me e a te, allo stesso modo e adesso torneremo ad essere i tre pazzi di Venture Island!"

"Allora va bene! Ma dobbiamo parlare e lui non ti deve più fare quello che ha fatto!"

"Sono certo che non accadrà più, io lo so, Joel, mi capisci?"

"Va bene, va bene, hai ragione tu."

Da lontano Richard e Kevin li avevano visti discutere ed avevano capito quello che Angelo stava cercando di fare. Poi videro gli abbracci e finalmente li sentirono ridere, così sperarono che Angelo l'avesse finalmente convinto.

24 novembre 1950

Il mattino dopo si misero in marcia molto presto, percorrendo la strada che avevano già fatto prima i tre, quando erano ancora tre. Adesso che erano due, ma non per molto, procedevano tenendosi per mano e facendo acrobazie sul sentiero stretto per non perdere quel contatto cui pareva che tenessero più di ogni altra cosa al mondo. Davanti a tutti c'era Tommy, controllato da Manuel che gli teneva le mani sulle spalle, attento a non farselo sfuggire. Poi Angelo e Joel, Kevin e Richard, Mike e François.

Terry era l'ultimo, seguito da Hook che si godeva felice la passeggiata, non disdegnando di sorpassare tutti, per mettersi alla testa della fila.

Essendo l'ultimo Terry guardava quelle coppie con un misto di invidia e nostalgia, chiedendosi quanto sarebbe durato ancora il suo purgatorio, per quanto tempo gli avrebbe fatto così male assistere alle effusioni degli altri e se sarebbe mai riuscito a liberarsi di quella specie di maledizione.

Poi, facendo una riflessione che lo sorprese parecchio perché, che ricordasse, era la prima volta che aveva idee simili, pensò che l'amore non può essere una maledizione e che, se proprio non dà felicità, allora dà disperazione e, se a lui erano toccate le lacrime, era stato soltanto per colpa sua. Né Angelo, né Joel avevano avuto parte in quegli eventi, se non per come e quanto avevano sofferto ed era già stato troppo.

Chiuse gli occhi per non vedere, voleva piangere, ma gli pareva di non avere più lacrime e poi avrebbe messo in ansia gli altri, in particolare Richard che era sempre così buono con lui. Se poi l'avesse visto Angelo, gli avrebbe chiesto di stare un po' con loro per ridere e scherzare come al solito, ma lui non aveva più voglia di sentirsi un ospite.

Non ce la fece proprio e finì che si commosse lo stesso, allora si attardò, sperando che chi gli camminava davanti, non si voltasse a guardarlo, vedendogli le lacrime sulle guance. Solo Hook tornò indietro a chiedergli, inclinando la grossa testa nera, che ci facesse là da solo, con le guance bagnate, ma Hook era un compagno discreto e non avrebbe certamente fatto la spia.

Procedettero speditamente, per quanto lo consentiva la gamba di François che si appoggiava alle spalle di Mike o di Richard. Una volta si fece aiutare anche da Kevin, ma quando lo fece i due cominciarono a ridere e tutta la fila rallentò tra le proteste di Tommy che, se fosse dipeso da lui, l'avrebbe fatta tutta di corsa.

Per precauzione Richard li aveva fatti coprire il più possibile anche questa volta. Erano tutti abbottonati e protetti, perché avrebbero dovuto attraversare la zona paludosa e c'era il rischio di essere punti dalle zanzare anofele, portatrici di malaria.

"Sempre che ce ne siano davvero!" aveva detto dubbioso Kevin, quando aveva capito che dovevano camminare tutti coperti e che quindi avrebbero sudato più del solito.

Alla fine la prudenza di Richard aveva prevalso, anche se era occorso qualche bacio per convincere Kevin a coprirsi anche lui, perciò, più che una spedizione di esploratori, parevano un gruppo di ragazzi diretti ad una festa, accuratamente vestiti con pantaloni e camicie, bianche e immacolate. Portavano anche, pronti ad essere indossati, dei cappelli con retine per proteggere la faccia. L'attraversamento delle paludi fu fatto con una certa circospezione, ma con la massima velocità e avvenne senza danni. Il lago delle rane, come l'avevano subito chiamato, fu lasciato indietro meno velocemente, perché attirò irresistibilmente la curiosità di tutti, anche di Kevin cui non piacevano gli animali in genere, meno che meno quelli che si muovevano a balzi e potevano inavvertitamente finirti addosso.

Prima che il sole fosse al suo massimo nel cielo, avevano raggiunto l'accampamento. Quando lo ritrovarono, e non fu facile come credevano, furono colpiti dall'aria di desolazione che vi si respirava. Forse era perché sapevano dell'esistenza delle tombe e degli scheletri, del passaggio della morte che si era aggirata per chissà quanto tempo in quei posti, ma tutto era immobile, deteriorato, anche gli animali parevano aver abbandonato quella zona. L'aria era improvvisamente divenuta pesante e perfino malsana, anche se in realtà non era così, perché in quella zona si godeva di una brezza leggera, gradevole rispetto all'aria insalubre delle paludi, più a valle.

"Dobbiamo cercare tracce e qualunque cosa non sia un prodotto diretto della natura" disse Richard "ma state attenti a non infilare le mani nude in mezzo all'erba, perché potrebbero esserci rettili, oppure insetti o spine. Prima di avvicinare le mani battete la terra con i bastoni."

"Si... papà!" dissero in coro Joel e Terry.

Fu così che si scambiarono un'occhiata di complicità, la prima da qualche giorno e nel cuore di Terry si riaccese la speranza, perché quella era la prima volta che Joel gli sorrideva davvero. Non come tutte le altre volte, quando, dopo averlo fatto, cercava lo sguardo d'approvazione di Angelo. E poi anche Angelo gli aveva fatto l'occhiolino, in un modo speciale che, nel loro linguaggio segreto di prima che accadesse il fattaccio, era un cenno d'intesa forte e voleva dire che appena possibile dovevano parlare. Terry sperò che fosse la fine dell'incubo.

Si diedero da fare, cominciando a muoversi con un certo metodo da una capanna all'altra e ad esaminare palmo a palmo il terreno, per quanto lo permetteva la vegetazione che aveva invaso il posto. Non fu facile trovare qualcosa. Pareva che ogni segno del passaggio di quelle persone si fosse dissolto. Se non fosse stato per Joel che, durante la prima escursione, si era incuriosito nel vedere la cime di quegli alberi strani e secchi che poi si erano rivelate delle capanne, probabilmente non avrebbero mai notato l'esistenza del villaggio.

Trovarono altri cocci e alcune lame di coltello, nessun utensile, oltre alla pala e alla pentola che avevano già visto l'altra volta. Da un esame un poco più accurato e meno emotivo degli scheletri, notarono però che non c'era traccia dei vestiti che quelle persone dovevano pur avere indossato.

"E mi pare..." fece Manuel con tono esitante "credo... che non ci siano tracce di violenza."

Si voltarono tutti a guardarlo, forse non aspettandosi che parlasse.

Era entrato tutto tremante nella capanna, approfittando del fatto che Tommy se n'era andato con François e Kevin. Aveva cominciato ad osservare, sempre più incuriosito, gli scheletri, si era accoccolato e li aveva guardati da più vicino, esaminandoli quasi fosse un poliziotto.

"Credo..." riprese esitante, poi con più sicurezza "credo che i corpi siano completi e anche le ossa sono tutte intere" aggiunse "che non ci sono segni di fratture insomma."

"È vero, hai ragione e questo ci fa escludere l'ipotesi che qualcuno gli abbia fatto del male" convenne Richard "hai ragione, Angelo!"

"Ma perché non c'è più niente oltre alle ossa? Pare che sia tutto scomparso. Perché non ci sono i vestiti?" fece Mike, tanto impaurito, quanto desideroso di sapere.

"Beh, si spiega facilmente" fece Manuel, incoraggiato dallo sguardo di Richard "i vestiti sono stati distrutti dalle intemperie e anche gli oggetti di legno sono scomparsi perché il materiale si è sgretolato e polverizzato. Tutti i manici, per esempio, quelli dei coltelli."

"Sembra proprio che siano qua da un secolo!" disse Kevin.

Si ritrovarono tutti vicini a quello che era stato il falò centrale dell'insediamento. Avevano ammucchiato gli oggetti trovati e si guardavano, ancora intimoriti dal luogo e da quello che poteva nascondere. Avevano recuperato poche cose, ma almeno una dava qualche notizia su quelli che l'avevano utilizzato. Per quanto in cattive condizioni, era chiaramente l'obiettivo di una macchina fotografica.

"Sono certamente morti da molto tempo" disse Richard "però con questo caldo non si può dire con precisione. Il corpo umano si decompone in fretta e potrebbero essere bastati anche pochi anni. Sembrano morti per una malattia, chissà, forse è stata proprio la malaria."

"Ehi tu, se la smetti con questa malaria!" lo minacciò François, scambiando un'occhiata d'intesa con Kevin.

"No, la malaria, no!" urlò Terry.

"Un'altra volta la malaria!" gli tenne dietro Angelo.

"Non è possibile!" fece Joel e si scambiarono quello sguardo d'intesa che pareva essere tornato un'abitudine.

"Va bene, niente malaria" concesse Richard "però è stata certamente una malattia e con le paludi che stanno qua sotto, può essere stata malaria!" insisté, mentre François gli tirava un ciuffo d'erba e i tre diavoli sogghignavano.

"Va bene, amore mio, è possibile anche questo" Kevin l'accarezzò, per consolarlo, mentre faceva l'occhiolino a François "Può essere stata malaria, siamo tutti d'accordo. Va bene?"

"OK, facciamo le persone serie, però!" disse Richard, un po' offeso da quella condiscendenza "Attorno abbiamo contato dieci tombe e ci sono anche quei tre scheletri. Potremmo pensare che ci siano state delle morti distribuite nel tempo e che i sopravvissuti fossero abbastanza in buona salute per seppellire i cadaveri."

"Papà" urlò allora Tommy "io ho paura!" e si strinse a Kevin, nascondendogli il capo nel petto.

"Piccolo, tappati le orecchie" fece Mike sbrigativo "vai avanti, fratello!"

"Tommy, la sai una cosa?" disse allora Richard "Credo che questo sia uno dei posti più sicuri di tutta l'isola, se solo stiamo attenti a non bere l'acqua che c'è qua attorno e se non ci fermiamo troppo dalle parti della palude."

"Dici davvero? E tutti questi morti? E gli scheletri?" rabbrividì visibilmente.

"Ehi, non lo sai che i morti non sono mai cattivi? Pensaci un po', non possono farci alcun male, Tommy. Loro sono soltanto morti e non si muoveranno più da dove stanno adesso e poi, noi fra un po' ce ne andremo dall'altra parte dell'isola e forse non torneremo più qua, né penseremo più a loro, se non per dire qualche preghiera. Mi credi se te lo dico io?"

"Si, papà" fece il ragazzino ancora dubbioso, anche se si calmò, rialzando il capo dal petto di Kevin, ma non lasciando la sua mano. Poi, quasi se ne fosse appena ricordato, cercò anche quella di Manuel.

"Gli ultimi tre non sono stati sepolti, forse perché non c'era nessuno che potesse farlo" disse Manuel "proprio come aveva detto Kevin, non è vero, Richard?"

"E allora, cosa può averli uccisi?" chiesero Mike e François insieme, spaventati da quelle parole terribili.

"Non lo so. Forse è stata una malattia, anche se non è la malaria, ma qualcosa che indebolisce progressivamente. Per esempio qualcosa che fa passare l'appetito e quando non si mangia ci si debilita fino morire, perché anche una malattia banale, anche un raffreddore diventa grave. Non lo so ragazzi, mi dispiace. Credo però che, per sicurezza, dovremmo evitare di tornare da questa parte dell'isola."

"Ehi, papà, Richard, io penso che forse, senza accorgersene, potrebbero essersi nutriti con qualcosa di velenoso" disse Manuel che si stava dimostrando il più fantasioso di tutti e anche il più riflessivo "per esempio dei frutti, bacche di piante che gli sono sembrate commestibili, ma che in realtà non lo erano."

"Potrebbe anche essere" concesse Richard.

"Pare che siano stati qua per abbastanza tempo e con forze sufficienti per costruire le capanne" continuò Manuel "poi però devono essersi ammalati e non è accaduto a tutti contemporaneamente. Forse non avevano abbastanza cibo, anche perché siamo lontani dalla riserva e loro non trovavano uova a sufficienza per nutrirsi, oppure non riuscivano a cacciare gli uccelli.

"Credo che abbiano cominciato a nutrirsi di qualcosa che li ha avvelenati, ma lentamente, senza che se ne accorgessero. Potrebbero non aver riconosciuto i sintomi e continuato a mangiarne fino a stare troppo male. Hanno cominciato ad ammalarsi i più deboli e se poi si sono anche infettati di malaria, la situazione non ha potuto che peggiorare."

"Hai ragione, Manuel, credo che alcune sostanze velenose agiscano sul fegato che ad un certo punto non è più in grado di neutralizzarle e quindi si arriva alla morte" spiegò Richard.

"E secondo me non è stato tanti anni fa" proseguì Manuel incoraggiato "perché c'è questo obiettivo che sembra appartenere ad una macchina a soffietto, di quelle che venivano utilizzate fino a pochi anni fa. Tu le conosci, papà? Avevano il soffietto di pelle che è andato perduto, ma l'obiettivo di metallo è rimasto intatto e da qualche parte in mezzo alla vegetazione ci dovrebbe essere anche il resto del meccanismo di metallo con l'intelaiatura. E anche gli utensili, a me non sembrano tanto vecchi da risalire al secolo scorso e neppure dei primi anni di questo secolo. Mi sembrano piuttosto recenti, forse di prima della guerra."

"Vai avanti, Manuel!"

"Io penso che siano stati dei naufraghi come noi, però credo che siano approdati dalla parte... noi adesso possiamo dire che era quella sbagliata, insomma nella zona delle paludi. Poi, non avendo uno come te ad organizzarli e uno come Tommy per trovare i posti giusti, non hanno pensato ad esplorare l'isola o non ne hanno avuto la voglia, l'interesse. Magari gli andava bene stare qua e così non hanno mai trovato le Tommy's Falls."

"Si, la tua ricostruzione è corretta."

"Forse sono morti dopo qualche tempo che erano qua, non molto, forse un anno, abbastanza però per costruire le capanne. Evidentemente non avevano gli attrezzi che abbiamo avuto noi, né un ingegnere e un architetto, perciò hanno dovuto costruire capanne molto più semplici della nostra casa. E fra loro forse c'erano delle donne, altrimenti non ci sarebbe stato il bambino che sembra davvero molto piccolo. E chissà chi altro c'è là sotto!" concluse indicando il cimitero.

"Questo ragazzo è un veggente!" disse François ridendo.

"No, è un mago!" gli fece eco Kevin.

"È Sherlock Holmes!"

"É uno stregone! Bruciamolo!"

"Voi invece siete solo due stupidi invidiosi. State zitti e fatelo parlare!" li redarguì Mike che si era davvero appassionato alla ricostruzione fatta da Manuel.

"Beh, non c'è molto altro che si possa dire. Tranne che sono morti uno per volta e in un periodo ristretto di tempo. Forse si è davvero concluso tutto in un anno o poco più. Si capisce dallo stato delle tombe che mi sembrano tutte molto simili e anche conservate allo stesso modo, cioè che una non sembra più vecchia dell'altra. E ho pensato anche un'altra cosa. Credo che, insomma, a me non sembrano cristiani!"

"Perché? E tu come lo sai?" fece François un po' incredulo.

"E quelle croci allora?" disse Mike ormai disorientato dalle deduzioni di Manuel.

"Quelle non sono croci, sono semplici paletti, perché se fossero state croci avremmo trovato l'incastro, un intacco, una legatura o le sue tracce sul legno, invece non si nota proprio nulla. E i paletti hanno in punta il segno del taglio, quindi non sono stati spezzati dal vento, perciò penso che siano stati piantati nel terreno per reggere dei piccoli oggetti, dei simboli che poi proprio il vento e qualche piccolo animale hanno portato via. E questo mi fa pensare che forse erano buddisti, quindi degli orientali, ma probabilmente non filippini che sono in prevalenza cattolici."

"È forte... Manuel, sei fortissimo!" gli fece Angelo, ammirato.

"Si, Manuel, continua!" dissero Joel e Terry un'altra volta all'unisono.

Poi si guardarono e si sorrisero, più di prima. Joel gli diede una pacca sulla spalla e Terry gliela restituì ridendo.

"Io direi che erano cinesi o del sudest francese, magari vietnamiti, laotiani oppure cambogiani. Io so che prima della guerra c'erano navi che trasportavano carichi di merci e di nascosto anche molti profughi attraverso il Pacifico, verso gli Stati Uniti. Ed erano clandestini come i genitori di Chris. Forse la loro nave è naufragata e chissà come sono finiti qua, oppure anche per loro c'è stato un attacco di pirati, ma non credo. Siamo troppo lontani dalle rotte dei pirati!

"Ehi... e tu queste cose come le sai?"

"Ho sempre letto tutti i giornali che trovavo. Sempre..." fece Manuel arrossendo.

"E che altro sai?"

"Beh... ragazzi, però... non so che altro dirvi!"

"Ma sei forte lo stesso!" gli gridò Tommy felice, soprattutto perché quella spiegazione liberava i morti da un mistero che altrimenti l'avrebbe terrorizzato ancora per molto.

"Mi sembra un'analisi proprio corretta" approvò Richard "complimenti, Manuel, sei stato davvero molto acuto."

"E ora che facciamo?" chiese François.

"Diciamo una preghiera e ce ne andiamo in fretta" propose Kevin "E non torniamo più da queste parti, non mi pare proprio il caso."

"Mike, che ne diresti di aiutarmi a seppellire gli scheletri?" disse Richard "Non dovremmo scavare molto e basterà una piccola buca per tutti e tre."

"Hai ragione" fu subito d'accordo "qua... vedi? C'è una zona di terreno un po' più molle. Sarà facile! Ehi... ci penso io..." e gli tolse di mano la pala che Richard aveva già impugnato.

Mike era così, difficile sottrargli un lavoro. Si diede da fare e in qualche minuto scavò abbastanza per poter dare una qualche sepoltura a quei poveri resti.

Allora Richard raccolse, con tutte le cautele e con una certa diffidenza, le ossa, cercando di ricomporle all'interno della buca. Mike provvide a ricoprirla. Poi si tennero per mano e pregarono insieme, tristi per quelle persone che erano state più sfortunate di loro.

"E con questo abbiamo due cimiteri" disse François alla fine "e direi che per quest'isola sono anche troppi!"

"Andiamo, ragazzi, cerchiamo di arrivare a casa prima del tramonto" li incitò Richard, anche per scuoterli dalla malinconia che li aveva assaliti.

Se ne tornarono in silenzio e non sfuggì a nessuno che Angelo e Joel, pur tenendosi sempre per mano, non la smettessero di chiacchierare con Terry, il quale gli stava attaccato e non perdeva occasione per ridere e scherzare.

Si stava risolvendo un'altra questione, pensò Richard, un problema che per fortuna non aveva creato guai maggiori.

"Papà, potremmo uscire a pescare con Terry?" gli chiese Joel quando furono sulla spiaggia.

"Anche tu, Angelo?"

"Si... papà..."

"Non avrai paura? Ne sei proprio sicuro?"

"No, non questa volta. Starò attento!"

"Va bene, allora, ma tornate presto e non combinate guai. Sono stato chiaro? Terry?"

"Si, papà!" urlarono, mentre stavano già spingendo la barca in mare.

"Ho bisogno di molti pesci e anche in fretta!" gli urlò dietro François "Quindi cercate di non fare il giro dell'isola!"

"Pensate che abbiano fatto pace?" chiese Mike.

"Speriamo. Direi che Terry ha sofferto abbastanza" disse Kevin.

"Però anche Angelo e Joel si portano addosso i segni di quella giornata, no?"

"Se l'hanno perdonato, sono stati più bravi, onesti e maturi di quanto potessimo pensare" disse inaspettatamente Manuel.

"Ragazzo, è la tua giornata per dire le cose giuste" disse Kevin, facendogli l'occhiolino.

La lancia, che in origine era soltanto una scialuppa, da qualche giorno, per merito di Mike e della sua maestria, oltre che dei suggerimenti dettati da Terry, era diventata un'imbarcazione a vela che lo stesso Terry manovrava con abilità. Se fosse anche agile e veloce, nonostante la sua forma che tradiva le origini di scialuppa, lo stavano scoprendo ad ogni uscita.

Terry aveva acquisito ormai una certa capacità e un'esperienza di regata che, comunque, non erano improvvisate, perché nei due mesi di crociera il ragazzo era stato uno dei più assidui assistenti del capitano Mendes da cui aveva appreso qualche nozione di navigazione e di governo di una nave a vela. L'amicizia era stata favorita dal fatto che il capitano era originario proprio di Capo Verde e, riconosciuto il ragazzo come un suo compatriota, l'aveva scelto come proprio assistente.

La lancia, che avevano pomposamente ribattezzato "Spirit of Venture", non era certamente una nave, adesso alzava un albero di cinque metri, il boma e due vele, una randa e un fiocco, tutto materiale recuperato dalla velatura e dal sartiame della Venture.

Il nome era stato inciso sulla fiancata destra. Mike ci aveva messo un paio di giorni a intagliarlo e Angelo l'aveva dipinto con molta attenzione usando colori naturali ottenuti chissà come.

Insomma, faceva una bella figura quando solcava l'acqua della laguna, in genere calma, qualche volta solo increspata. Una modifica al timone e l'allungamento della barra l'avevano resa anche più governabile. Qualche problema nasceva dalla mancanza di deriva e dalla sua forma poco aerodinamica, ma anche così era più che sufficiente a pescare e a far divertire i ragazzi, a farli tornare a familiarizzare con il mare. Il naufragio era troppo vicino, perché non ne avessero ancora paura.

Alzata la vela, Terry manovrò senza sforzo, andando a mettersi dove passavano le correnti calde utilizzate dai pesci. C'era voluto tempo per capire come si muovessero i branchi all'interno della laguna, ma ora gettava la rete a colpo sicuro e le prede che vi si impigliavano erano sempre tante e soprattutto saporite.

Andare a vela l'affascinava e si sentiva anche abbastanza sicuro dei propri movimenti, tanto che, se ne avesse avuto voglia avrebbe potuto uscire dalla laguna e perfino allontanarsi dall'isola, ma quella voglia certamente non l'aveva. Forse un giorno gli sarebbe piaciuto condurre la barca nel mare aperto, al di là della scogliera, dove non c'era più protezione e le onde potevano essere alte anche molti metri, faceva quel pensiero ogni volta che si avvicinava al canale d'uscita e ogni volta un brivido gli correva lungo la schiena.

L'apertura, il canale che permetteva l'ingresso nella laguna era una specie di regno di mezzo che consentiva il passaggio tra l'inferno e il paradiso, fuori il mare era sempre agitato, spumeggiante, rumoroso, con le creste delle onde che vaporizzavano a causa del forte vento, all'interno la laguna era quasi sempre calmo, come fosse un lago, silenzioso nel suo riposante colore turchese.

"Sei bravo con questa barca!" fece Joel.

"Si, pilotarla è più semplice di quanto pensi" si schermì Terry, mentre ammainava la vela e la serrava al boma "il vento è tutto, devi sentirlo, è la cosa più importante e qua ce n'è sempre. Non ricordo una sola giornata senza vento."

Gettò la rete, sfruttando l'abbrivio della barca e la legò alla poppa per trascinarla un poco, aspettando di sentirla pesante e carica di prede.

Era davvero un avvenimento che fossero tutti e tre sulla barca, perché Angelo era ancora spaventato dal potersi trovare un'altra volta in balia delle onde, com'era accaduto per il naufragio. Per questo si avvicinava meno possibile al mare, figurarsi salire in barca, ma quel giorno dimenticò tutte le sue paure e fu per una causa nobile e giusta, per un compito che non poteva delegare a nessuno e che poteva svolgere soltanto lui, salendo sulla lancia. Perciò, per amore, si sacrificò.

"Non siamo troppo lontani dalla riva... eh,Terry?" disse con un filo di voce.

"Fratellino, stai tranquillo. Sei al sicuro con me!"

"Ma tu com'è che sai andare così bene a vela?" chiese Joel interessato, ma anche per distrarre Angelo.

"Oh, è facile! Vuoi imparare?"

Joel fece di si con la testa. Ed era sereno, così almeno parve a Terry. E se era così, forse il suo esilio era finito. Forse. Anche Angelo pareva tranquillo

Lui ebbe paura che fosse un'altra illusione, che i due fossero là solo per fargli piacere, come era già accaduto, poi guardò fisso Joel fino a cercarne gli occhi. Joel non distolse lo sguardo, lo resse, finché fu lui a guardare altrove, ma negli occhi di Joel non lesse nessuna avversione e sperò che finalmente stavano per parlarsi e che lui sarebbe riuscito a spiegarsi meglio delle altre volte e che Joel finalmente capisse e l'accettasse.

Con Angelo era stato più semplice, ma Joel era un duro, o quasi.

Per non tremare, perché aveva tanta paura, per non piangere, perché stava per farlo, si concentrò sulle operazioni di pesca. La rete si era rapidamente riempita di pesci, più velocemente di altre volte, quasi che quelle bestiole si fossero affrettate a sacrificarsi per celebrare con la loro riconciliazione, come fossero vittime da immolare per quello che forse stava per compiersi.

Forse.

"Terry" Angelo l'accarezzò sulla spalla "Joel deve dirti di una cosa" e accarezzò Joel allo stesso modo, spingendolo a voltarsi, incoraggiandolo, perché fossero uno di fronte all'altro.

"Ti ricordi quello che ti ho detto quando ne abbiamo parlato?" disse Joel.

Poteva riferirsi ad una delle tante volte in cui si erano parlati in quei giorni, oppure a quello che si erano detti dopo la caccia, ma Terry sapeva che Joel si riferiva alle parole dette due giorni dopo quel suo atto sciagurato, quando aveva parlato per la prima volta con Angelo. Joel si riferiva alle minacce che gli aveva fatto e che lui aveva preso terribilmente sul serio.

Come poteva scordarle?

"Non lo dimentico, non credo che potrei farlo!"

"Prima che ti dica altro, ricordati che quella promessa è sempre valida e che se fai un'altra volta qualcosa ad Angelo, io ti... tu lo sai cosa ti faccio, vero?"

"Si, Joel" e temette che davvero per lui non ci fosse speranza, poi Joel fece qualcosa.

Quel suo movimento strano, quello che faceva quando voleva attaccarlo per fargli il solletico. Prima fece gli occhi spiritati, poi mosse le mani, pronte ad artigliarlo e, soprattutto, gli fece il suo sorriso più furbo e allegro.

"A parte questo, ti voglio bene, pezzo di merda!" disse e gli si gettò addosso, l'abbracciò tanto forte da fargli perdere l'equilibrio, gli fece il solletico. A quel punto anche Angelo si buttò nel mucchio contribuendo a fare ondeggiare pericolosamente la barca.

Erano avvinghiati in una lotta fatta di risate, prese audaci, urla e movimenti bruschi, poi si acquietarono, ma solo perché la barca rischiava di rivoltarsi. E perché i punti che Joel aveva sulla gamba stavano certamente per riaprirsi.

Il miracolo era finalmente avvenuto.

Tirarono insieme la rete carica di pesci e, su indicazione di Terry, li selezionarono come al solito. Tornati al campo, andarono di corsa da Richard.

"Vorremmo che Terry tornasse a dormire con noi" disse Angelo.

"Siete sicuri, ragazzi?"

"Si!" risposero convinti.

"E tu, Terry?"

"Beh, io sono contento!" disse con un sorriso smagliante.

"Allora, va bene, ragazzi" disse Richard accarezzando Joel "siete stati tutti bravi!"

Anche lui era soddisfatto per come si era risolta la vicenda, ma non lasciò andare Joel.

"Fammi vedere la gamba!"

"No!" e scappò via.

"Domani ti toglierò quei punti" gli gridò dietro Richard "con le buone o con le cattive. Dovessi legarti ad un albero. E tu sai che Mike sarebbe contento di farlo!"

L'accenno a Mike rese la minaccia molto più concreta, anche se per il momento c'era la cena da preparare e dei punti si sarebbe discusso un'altra volta.

Quella sera mangiarono anche più allegramente del solito, perché c'era da festeggiare la serenità ritrovata. Non che le loro cene fossero mai state meno che vivaci e rumorose, ma quella era un'occasione speciale.

Erano tutti gioiosi e soprattutto sereni, poi François, rovistando nella sua dispensa segreta, tirò fuori gli ultimi pezzi di cioccolata e la festa fu davvero completa. Mangiarono a sazietà il cibo che, per fortuna o bontà di Dio, a seconda delle convinzioni, abbondava sull'isola. Mangiarono e gustarono tutto anche per l'abilità che François aveva ormai accumulato e trasmesso, almeno in parte a Joel. Risero e cantarono e furono tutti più contenti per l'armonia che era tornata fra loro e che era stata solo scalfita dall'inimicizia fra Terry e Joel.

"Non c'è un albero della cioccolata su quest'isola?" chiese Kevin

"C'è solo l'albero del pane, vero?" disse sconsolato François.

"No" li deluse Richard "potremmo anche trovare delle piante con dei semi simili al cacao, ma poi avremmo bisogno di alcuni elementi chimici per la preparazione. Niente cioccolata, ragazzi. Mi dispiace!"

"Però la marmellata è buona!"

"Cavolo se è buona..." fece Tommy a voce non proprio bassa e con la bocca piena proprio di quella specie di marmellata che François era riuscito ad ottenere cocendo i frutti.

"Se li lava i denti? Vero, Manuel?" chiese Kevin.

"Si! Due volte al giorno, mattina e sera."

"Perché se qualcuno dovesse avere mal di denti" disse Richard, quasi a se stesso "non potremmo fare niente. Ve li lavate tutti?"

Otto teste gli fecero di si, sperando di convincerlo.

"François, che dolci ci farai per Halloween?" chiese Tommy per sviare il discorso dal mal di denti. Del quale non aveva mai sofferto, ma che lo spaventava parecchio per come ne aveva sentito parlare.

"Non credo di poter fare molto, perché non abbiamo zucchero e farina, ma facendo seccare la confettura di frutta e poi tagliandola a pezzetti, dovremmo avere qualcosa di simile a delle caramelle. Oppure, per esempio, mescolando il frutto dell'albero del pane con le banane mature, quelle piccole e più dolci, si otterrebbe, forse, un impasto che, se lo cuociamo nel forno, potrebbe avvicinarsi alle ciambelle. Insomma, possiamo provare, ma dovremo adattarci!"

"Dai, vecchia zia, siamo qui per adattarci, no?" lo canzonò Kevin.

"Se io sono una vecchia zia, tu sei una strega!"

Finì tra le risate, mentre Tommy e Mike continuavano ad ingozzarsi di marmellata, insensibili alle battute e a niente altro che non fosse quel nettare che ingoiavano avidamente.

Alla fine della serata, quando Richard pregava e i ragazzi lo ascoltavano commossi, lui non parlò della riconciliazione che c'era stata, ma andò a mettersi fra Terry e Joel, con le braccia sulle loro spalle e pregò per tutti loro, recitando le preghiere di ogni sera, all'ultimo bagliore del fuoco.

A Venture Island si viveva sfruttando la luce naturale, nel senso che, calata la notte, a meno che non ci fosse la luna, era buio pesto, solo un poco attenuato dal luccichio delle stelle che però non penetrava sotto gli alberi. L'unica luce era data dai bagliori del fuoco di bivacco che era sempre acceso al centro del campo.

Dalla goletta avevano recuperato alcune lampade a petrolio, ma pochissimo combustibile che era particolarmente prezioso. Avevano anche un certo numero di candele e di torce, pure quelle utilizzate con grande parsimonia, nelle occasioni speciali o per le emergenze. La legna da ardere non mancava, ma spesso avevano difficoltà a farla bruciare, a causa della forte umidità che c'era sotto gli alberi, tanto che da qualche settimana la lasciavano qualche giorno al sole ad asciugare, prima di utilizzarla. Tenevano però il fuoco sempre acceso, non avendo quasi più fiammiferi e, non essendo ancora molto abili con paglia e legnetti, avevano istituito la cosiddetta 'guardia del fuoco'.

Era un ruolo di responsabilità e decisero di occuparsene a turno. Il compito, apparentemente banale, era quello di controllare che il fuoco fosse sempre acceso, di giorno e di notte. La penalità in caso di spegnimento completo era stata stabilita, all'unanimità, nell'obbligo di procurare la legna per tutta la settimana successiva all'incidente. Ma non era mai accaduto che il fuoco si spegnesse del tutto. A dire il vero, una volta Angelo ci era quasi riuscito, ma Terry e Mike con pazienza avevano praticamente resuscitato la brace e salvato il ragazzo da una settimana di corvée alla legna.

Quando minacciava pioggia, la brace, che Richard chiamava 'sacra', quasi fosse il prodotto di un legno divino, veniva portata al riparo e alimentata con attenzione ancora maggiore, neanche fosse il fuoco del monte Olimpo. E per loro era anche più venerato e importante.

La guardia del fuoco aveva anche il compito di provvedere all'aggiornamento del calendario. Era un compito delicato e per essere certi di non dimenticarsene, avevano stabilito di farlo al passaggio di consegne fra le due guardie che insieme avrebbero spostato i legnetti controllando che ciascuno facesse i giusti movimenti. Spesso l'azione vera e propria di aggiornamento, un complicato spostamento di legnetti e paletti che contavano giorni, mesi e anni, cui si erano aggiunte nell'ultimo mese addirittura le fasi lunari, con un calcolo approssimativo delle maree e del volgere dei monsoni, era effettuata sotto lo sguardo attento di tutti i sacerdoti di questo nuovo culto del tempo. Come l'aveva definito Richard che poi era stato costretto a spiegare a tutti quello che intendeva dire.

Accanto al calendario, in una zona della radura sempre esposta al sole, avevano costruito la meridiana su cui troneggiava una pertica, una specie di totem, che rappresentava lo gnomone.

"Gnomone?" aveva urlato Tommy, incredulo, mentre Mike e Richard piantavano l'asta con molta attenzione, per essere certi che fosse ben dritta.

"Questo palo si chiama proprio così e l'arte gnomonica serve a realizzare gli orologi solari, cioè le meridiane" aveva spiegato pazientemente Richard.

"Gnomone! Gnomonica!" aveva ripetuto Tommy per tutta la giornata, contento per le parole nuove che aveva imparato.

Dopo averci pensato su e aver fatto qualche calcolo, Richard aveva stabilito che l'altezza necessaria era di circa due metri, perciò avevano cercato un palo bello diritto di almeno quattro metri, per poterne piantare la metà nel terreno.

Prima avevano liberato la zona dall'erba fino a segnare un quadrato sul cui lato sud era piantato il palo. A partire da lì, avevano insabbiato a raggiera dodici paletti, uno per ciascuna ora, dalle sei di mattina alle sei di sera. Una meridiana vera, con la lastra di marmo, avrebbe avuto delle linee scolpite a segnare il tempo, sarebbero stati segni netti, scanalature dipinte di scuro sul marmo chiaro. Loro avevano un piano di sabbia e dei paletti che però chiamarono ugualmente tacche.

L'ombra dello gnomone si stagliava sempre netta sulla sabbia bianca a segnare con precisione ore e mezz'ore. Parlare di ore forse non era corretto, perché si trattava delle dodici frazioni del periodo di luce calcolate da Richard. Trovandosi quasi all'equatore, il tempo tra il sorgere e il calare del sole era abbastanza costante nel corso dell'anno.

Ci aveva messo qualche settimana, ma alla fine, sulla base delle proprie conoscenze di geografia astronomica, delle carte recuperate dalla Venture e delle misurazioni fatte, era riuscito a stabilire, con una certa approssimazione la loro posizione ed anche una divisione corretta nei periodi di tempo che a lui parevano abbastanza simili alle ore.

In quei giorni, mentre era alle prese con i suoi rilevamenti, si era sentito vicino agli astronomi babilonesi che, come sapeva, avevano inventato la meridiana ed erano anche riusciti a farne uno strumento molto più preciso degli orologi meccanici costruiti in seguito. Ed avevano fatto tutto senza avere idee precise di longitudine e latitudine, né avevano altri mezzi se non le loro acute osservazioni. Un po' com'era accaduto a lui che in più sapeva che la terra è una sfera che gira attorno al sole, con una inclinazione variabile dell'asse.

Joel era la guardia del fuoco di quella sera e i tre si attardarono a preparare la brace per la notte. Se non minacciava pioggia, per conservarla accesa era sufficiente lasciare un bel ceppo a consumarsi e la mattina dopo, al cambio di consegne, la nuova guardia avrebbe dovuto solo ravvivare i tizzoni e riprendere ad alimentare il fuoco.

Il campo era appena illuminato dallo scintillio di braci ormai senza più fiamma, ma i ragazzi erano bravi a muoversi al buio, avendo imparato a conoscere il campo e l'interno della casa, dove trascorrevano le ore di oscurità.

Si sciolsero dall'abbraccio in cui si erano stretti dopo aver sistemato il focolare solo per arrampicarsi sulla scala, si ripresero per mano e raggiunsero il letto a passo sicuro.

C'era da riguadagnare un'intimità perduta, assieme alla spontaneità dei movimenti, che solo poco tempo prima era totale.

In quei dieci giorni tutti e tre erano cambiati parecchio. Angelo, forse meno degli altri, ma lui era già abbastanza maturo ed equilibrato prima del naufragio e, nonostante ne avesse subito i danni peggiori, era stato il primo a venire fuori dall'episodio con Terry, intuendone l'effettiva portata e le vere motivazioni. Aveva capito che era stato per amore e si era messo subito all'opera per ricucire tutti gli strappi, il dolore di Terry, complicato dall'indignazione e dalla gelosia di Joel.

Terry adesso si conosceva molto meglio, sapeva cose nuove su di sé ed era conscio della grande fortuna che aveva avuto a trovarsi in un posto come Venture Island. Se avesse fatto la stessa cosa a Boston, se si fosse comportato a quel modo con chiunque, era certo che sarebbe stato chiuso in una prigione, senza molte speranze di venirne fuori. Essere dov'era, oltre a dargli l'opportunità di essere perdonato, l'aveva preservato dalla rovina completa.

E tutto per la fortuna di avere fatto naufragio e di essersi poi innamorato.

Terry era davvero cambiato e pur di tornare ad essere amato davvero da Joel e Angelo, avrebbe fatto qualunque cosa.

Nel buio della casa, non molto silenziosa, a causa dei bisbigli che si sentivano provenire dai letti, dei sospiri e dei fruscii, dello schiocco dei baci, perché tutti gli altri stavano almeno baciandosi, Terry si avvicinava al letto tremante, in attesa di quello che sarebbe accaduto.

E c'era Joel che, assai più degli altri due, era diventato una persona nuova, cambiato nel corpo e nello spirito. La sua maturazione fisica si era fatta improvvisamente evidente, gli erano spuntati i primi peli anche sotto le ascelle e quelli attorno al pene erano già più che un ciuffetto. Per la barba avrebbe dovuto aspettare ancora qualche anno, ma per il resto il suo corpo si stava riempiendo, allungando, trasformando. Anche per merito dell'alimentazione regolare ed abbondante, sulla Venture e poi a Venture Island, che stava dando i suoi frutti. I progressi più importanti però c'erano stati in campo affettivo, perché ora amava e sapeva di amare, era riuscito a capire, ad interpretare le sue emozioni e aveva scoperto che quella sensazione strana che provava, quando era vicino ad Angelo ed anche a Terry, era amore, mentre ciò che sentiva guardando gli altri compagni, era una cosa ugualmente bella, ma abbastanza diversa. Era affetto, amicizia e tenerezza, oltre che rispetto per la loro libertà e le loro opinioni.

Era certo che si sarebbe fatto uccidere per i suoi compagni, per ciascuno di loro, ma quello che provava per Angelo e Terry era proprio diverso.

Terry davanti al letto esitava, poi Angelo e Joel se lo tirarono dietro e lui finì in mezzo a loro. L'accolsero con una serie di risatine soffocate. In un attimo si liberarono dei vestiti e cominciarono a toccarsi, ad abbracciarsi a stringersi, riacquistando immediatamente tutta l'intimità e la confidenza di qualche giorno prima.

Terry all'inizio era timido, timoroso di toccare, ma quei due cominciarono ad accarezzarlo, riempiendolo di baci, mostrandogli apertamente il loro desiderio. Presto, prima di quanto volessero, furono vicini a godere. All'improvviso il fiato si fece più corto, i movimenti più veloci, le carezze più incalzanti e fu come se mille sirene cominciassero a suonare tutti insieme, ma Terry riuscì a farsi sentire in mezzo a quel frastuono.

"Aspettate, fermi!" disse, cercando di controllare il respiro, la voce e il battito del cuore "aspettate. Devo dirvi una cosa" bisbigliò, temendo di aver svegliato tutti, perché era una cosa che voleva dire solo a quei due "Io, Angelo" i due lo guardavano senza capire "io voglio che tu mi faccia quello che ho fatto a te. E poi devi farlo anche tu, Joel!"

"No, Terry!" fece subito Angelo.

"Voi due l'avete fatto, no?"

"Si, ma io avevo paura!" chiarì Angelo.

"E invece a me è piaciuto!" tagliò corto Joel.

"E allora fatelo anche a me. Vi prego, Angelo, Joel!"

Si mise a pancia sotto e attese.

"Terry..."

"Anche a me non voleva farlo" mormorò Joel.

"Non voglio, io lo so che fa male!"

"Ti prego, Angelo!" ripeté Terry, affondando la faccia nel cuscino "A me non importa proprio se mi fate un po' di male! Dovete farlo!"

"Ma non è vero che fa male" si infervorò Joel, che era l'unico a non aver dimenticato la propria eccitazione. Aveva alzato un po' la voce, ma la riportò subito ad un sussurro "Ehi, quella è stata la cosa più forte che abbiamo mai fatto. Ma questo qua me l'ha voluta fare una volta sola!" ridacchiò "Allora, quand'è che me lo farete daccapo, tutti e due?"

"Domani, piccolo, oggi tocca a me. Va bene?"

"Dai, Angelo!" l'incitò Joel.

E così pareva che l'avessero convinto, ma Angelo tremava tanto che l'eccitazione gli era quasi passata. Però gli bastò sfiorare la pelle liscia di Terry, per prendere vigore e sentire rinascere il desiderio, allora gli allargò le gambe e andò a inginocchiarsi in mezzo. Si abbassò fino a sfiorare con le labbra i due globi.

Joel non smetteva di accarezzare ora uno, ora l'altro, incoraggiandoli con i suoi gesti, perfino con il suo respiro, e, per una specie di percezione, i due capirono che non era geloso di quello che stavano facendo. In realtà, pensò lui, forse non lo era mai stato, forse il suo era stato soltanto un capriccio. Capiva quanto fosse importante che Terry e Angelo raggiungessero anche quella particolare riconciliazione. E poi Terry gli aveva promesso che domani anche lui avrebbe avuto la sua parte e lui sapeva che Terry manteneva sempre le promesse. Lo sapeva bene, perché per lui Terry era diventato quasi come Richard, solo che era un po' più piccolo e quindi gli era più vicino. E anche perché insieme facevamo quelle cose, insomma, finalmente aveva capito che l'amava veramente. Proprio come gli aveva spiegato Angelo che adesso stava parlando con voce tremante e quasi balbettava.

"Adesso ti bagno per bene... così forse ti faccio meno male... ma tu sei proprio sicuro? Vuoi davvero che lo faccia?"

La risposta di Terry fu nella carezza che fece alle mani di Angelo, nel mormorio che gli sfuggì.

Così finalmente Angelo parve convincersi e lo cosparse con quanta più saliva poté, portandosi le dita alla bocca, poi passandole e ripassandole. Anche Joel contribuì a bagnarlo e a nessuno dei due scappò da ridere, perché fecero tutto con la massima serietà, mentre Terry era deliziato per quelle attenzioni e si preparava a sentire Angelo dentro di sé, e a provare quello che aveva fatto subire alla persona che aveva sempre saputo di amare. Era allo tempo stesso spaventato e impaziente di fare quell'esperienza. Non la considerava una punizione, era soltanto un desiderio, forte, irresistibile. Come lo era stato quell'altro, dieci giorni prima.

Ci aveva pensato parecchio prima di capire e decidersi e poi aveva compreso che quello doveva essere una specie di dono, un atto di devozione che lui offriva ai suoi due innamorati, dando a ciascuno un pegno in cambio del loro amore, prima ad uno e poi all'altro. E il pegno doveva essere proprio il suo corpo. Non ere certamente una punizione.

Angelo gli si mise sopra, tremante di paura, posò il pene tra le natiche e si spostò fino a puntarlo proprio contro il buco, poi spinse.

Terry trattenne il fiato quando sentì qualcosa introdursi, farsi largo, risalire, dilatarlo, occupare uno spazio che prima non esisteva. Angelo stava usando tutte le precauzioni, perché sapeva come e cosa fare. Aveva imparato a proprie spese quali movimenti generavano dolore e quali piacere ed ora stava usando con Terry tutta la sua esperienza, con un'abilità commovente, con tenerezza, proprio come aveva fatto con Joel qualche giorno prima.

Terry se ne accorse, l'immaginò e gli sfuggì una lacrima un singhiozzo, perché Angelo stava ripagando con amore e attenzione ciò che lui gli aveva fatto, la sua azione orribile e goffa.

Quando gli fu completamente dentro, Angelo cominciò a muoversi. Spingendo e ritirandosi, finché sentì di non potersi più trattenere, perché, nonostante l'emozione, il timore che aveva, gli pareva di non essere mai stato tanto eccitato ed anche felice. Con Joel era stato altrettanto bello e in Terry si perse come aveva fatto nel corpo dell'altro suo innamorato e liberò tutta la potenza e il vigore che poté, lo possedette e lasciò che la sua anima fluisse nel corpo di uno dei due ragazzi che amava.

Quando si calmò, si accorse che Joel non aveva smesso di coccolarlo e cercò le sue labbra, per un lunghissimo bacio, mentre lui era ancora dentro Terry e l'accarezzava, sfiorandogli i capelli con le dita, seguendo il disegno delle orecchie, indugiando sulla pelle serica, lucida di sudore.

"Ti ho fatto male?" chiese notando gli occhi chiusi, stretti, umidi di lacrime.

"No, fratellino, non potevi farmi male. Ti ho sentito entrare, ma era come se fossi in paradiso e non mi hai fatto male. Mai, non potevi farlo, non tu. E poi non sarebbe mai stato quanto te ne ho fatto io, non è vero?"

"È tutto passato, quella cosa non è mai accaduta! E poi io un po' di esperienza ce l'ho, non credi?" ridacchiò Angelo, contento di aver regalato quel poco di felicità e soprattutto cercando di tranquillizzarlo, di sdrammatizzare quel momento e dimenticare quello che era avvenuto, perché gli pareva che Terry ci avesse pensato anche troppo. Gli scivolò fuori lentamente, accucciandosi accanto a lui che restava al centro.

"Joel, tocca a te" bisbigliò allora Terry.

"No, fratello, sei stanco ora. E poi ti sei già... tu sei... venuto, no?"

"No, Joel, ehi, sono stato attento. Quasi, quasi mi bagnavo prima, mentre Angelo mi faceva quella cosa, ma insomma, volevo farlo anche con te! Ci tenevo e quindi ti ho aspettato. Era una promessa, no?"

"Oh, Cristo! Ti amo, fratello, ti amo tanto!" era commosso e l'abbracciò stretto, cingendo anche Angelo "Vi amo tutti e due!"

"Anch'io vi voglio bene!" disse Terry.

"Io, però, io non l'ho mai fatto" fece allora Joel, come rendendosi improvvisamente conto di quella difficoltà che gli parve insormontabile.

"Ehi, piccolo, ti aiuta Angelo. E poi adesso credo che sia più facile" aggiunse con tutta la sua ingenuità, poi ebbe un tuffo al cuore e sentì un gran caldo alla faccia. Era una vampata di rossore che su di lui, anche se ci fosse stata luce, forse non si sarebbe vista tanto, ma in quel momento s'era reso conto d'aver detto una cosa proprio sporca e aveva realizzato che ora anche lui era uno che l'aveva preso in culo e quindi, in un certo senso, un finocchio, con il culo rotto, perché Angelo l'aveva appena inculato.

Sull'isola erano tutti finocchi e Venture Island era un'isola di checche. Perché non ci avesse pensato prima e lo stesse facendo solo allora, non lo sapeva, ma poi vide, immaginò, il volto serio e lo sguardo concentrato di Joel e il sorriso di Angelo che lo stava certamente seguendo con gli occhi, che lo guidava con i gesti e capì che non c'era nulla di sbagliato, ma che era tutto bello, bellissimo. Era l'amore che li guidava tutti.

Ricordò anche il volto sereno di Richard che era certamente abbracciato a Kevin e anche gli altri che ora dormivano o stavano ancora facendosi le coccole. Richard non avrebbe mai fatto qualcosa di sporco, di cui ci si dovesse vergognare, ne era certo, perciò la loro era un'isola di avventure e di felicità. L'avrebbe detto a tutti domani, se doveva essere Venture Island, l'isola dell'avventura, perché non anche l'isola della felicità?

Sentì addosso Joel, il suo corpo era meno pesante dell'altro, avvertì le mani delicate di Angelo che lo sfioravano e guidavano Joel dentro di lui, scordò subito d'aver fatto tutti quei pensieri, tranne l'ultimo, perché doveva proprio parlarne con Richard.

Appena Angelo glielo consentì, Joel fu impaziente, concitato, emozionato, ma fu anche dolce e premuroso, nel poco tempo che ebbe prima che il suo corpo prendesse fuoco e sentisse di riversare tutto se stesso dentro Terry. Per un momento restò immobile, a riprendere fiato, poi andò a cercargli il pene, lo prese e l'accarezzò. Non dovette aspettare molto prima che anche Terry lo raggiungesse nel paradiso di chi ha appena goduto.

Ora che era tutto compiuto, poterono abbracciarsi, appagati e felici. Forse erano ancora un po' eccitati e avrebbero ricominciato, ma erano anche stanchi e assonnati. Si aggrovigliarono come al solito, come se nulla fosse mai accaduto fra loro e finalmente era proprio così. Il sonno li colse insieme.

Al mattino il primo riaprire gli occhi fu Joel che provvide a svegliare gli altri due:

"Ehi... oggi tocca a me! È vero che tocca a me, ragazzi?"

TBC


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