Lisola Del Rifugio

By Lenny Bruce

Published on Dec 29, 2022

Gay

DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.

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Questo è il quinto dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.

CAPITOLO 5 - Cicatrici

13 agosto 1950

Il campo era silenzioso e la luce dell'alba svegliò François.

Si guardò attorno, poi accarezzò con gli occhi il corpo grande e vigoroso che teneva stretto a sé. Era così chiaro in confronto al suo, per quanto già scurito da mesi di sole tropicale. Lo teneva fra le braccia, come fosse un bimbo, ma come e quanto era cresciuto questo bambino. Stavano stretti nell'amaca, due corpi quasi di adulti, però avevano dormito. No, non sempre, perché ad un certo punto si erano ritrovati svegli insieme ed avevano fatto la cosa più bella che gli era mai accaduto di fare nella sua vita. Adesso però erano un po' pigiati, perché se Mike era un bel pezzo di ragazzo, anche lui non era da meno, per quanto più magro. Era molto alto e con l'ingombro della gamba fratturata, bloccata dalle stecche, faceva fatica anche a sgranchirsi.

La gamba non gli faceva più tanto male, solo le ferite gli prudevano un poco e ogni tanto l'osso gli dava qualche fitta. Richard aveva fatto davvero un buon lavoro, per essere al suo primo tentativo, pensò, un po' rabbrividendo, ma anche sorridendo e ringraziando Dio un'altra volta. Per aver salvato la vita a tutti loro, ma soprattutto a Richard che li avrebbe protetti fino a portarli in salvo, François ne era certo. E rese ancora grazie a Dio per aver salvato quel ragazzo che ora si teneva stretto, il suo innamorato. Concluse le sue preghiere di riconoscenza e, già che c'era, pregò per le anime di tutti quelli che erano morti nel naufragio.

Il volto di Mike pareva sereno. Il torace, a pochi centimetri dal suo viso, si sollevava in un respiro tranquillo. Nella luce del mattino, che ad ogni momento si faceva più intensa, il contrasto fra i loro corpi risaltava violento. Uno lungo, snello, scuro, l'altro robusto, vigoroso, i capelli castani, scompigliati dal sonno, le spalle abbronzate.

Era affascinato da tanta bellezza, dall'armonia di quel corpo, dalla forza che esprimeva. Si sentì sopraffatto dalla tenerezza e dall'affetto per Mike, soprattutto al ricordo di come gli fosse parso ostile nelle settimane passate e di come poi gli avesse aperto il cuore, arrendendosi ai sentimenti che provava.

Non era stato facile riuscirci.

Gli passò delicatamente le dita su una mano e poi sul braccio, attraverso il torace e fino al ventre che non poteva vedere se non spostandosi un poco. Gli occhi seguirono la mano, sfiorando la pelle liscia e non abbronzata, di un pallore quasi latteo. A differenza degli altri, ricordò François, Mike non si era mai tolto i pantaloncini, né aveva mai indossati gli slip da bagno e sulla Venture era restio anche a mettersi a torso nudo.

Improvvisamente si bloccò. Stava fissando un segno livido, uno squarcio malamente ricucito che andava dal fianco al pube. Prima di vederlo, l'aveva sentito sotto le dita, un cordone di pelle innaturalmente tesa, troppo liscia. Non aveva mai visto una cicatrice chirurgica, ma intuì che quella non era opera di un medico. Cosa poteva aver procurato quel marchio? Era stato un incidente oppure qualcuno aveva fatto una cosa orribile a quel ragazzo?

Ricordando il comportamento di Mike capì che non era stato un incidente a provocare quel marchio e sentì scoppiargli dentro l'angoscia al pensiero che qualcuno avesse potuto volergli tanto male, al suo compagno, al ragazzo che lui amava e rispettava più di chiunque altro al mondo, anche più di Richard che amava in un altro modo. E finalmente comprese perché Mike non volesse restare nudo e apprezzò ancora di più che l'avesse fatto per lui, decidendo infine di condividere quel segreto. Si sollevò per guardarlo meglio e per inorridire ancora. Lasciò correre l'indice lungo il segno, come se potesse, per incantesimo farlo sparire oppure spremere via tutto il dolore che Mike certamente ancora provava a causa di quello sfregio.

Che pareva ancora recente, non completamente rimarginata.

Gli sfuggì una lacrima, cominciò a piangere, l'amaca si mosse e Mike aprì lentamente gli occhi.

La prima sensazione che provò fu il piacere dell'abbraccio tenero, caldo di François e la deliziosa percezione della vicinanza, la conferma dell'accordo siglato nell'abbandono e nella tenerezza della loro prima notte d'amore, dei baci e degli abbracci. Che ricordasse, non si era mai svegliato tanto sereno, felice, rilassato. Dopo che si erano amati ed ancora amati, era scivolato nel sonno e nei sogni aveva ripetuto i momenti vissuti davvero. Ed aveva sognato che il legame con François fosse senza fine. Lo guardò con gli occhi dell'amore e prima di vedere le lacrime sulle guance, già capì che il suo ragazzo era addolorato.

"Che c'è, Fran, che ti succede?" chiese preoccupato.

"Mike... io ti amo tanto e non lascerò che qualcuno ti faccia del male un'altra volta" gli sussurrò con passione, mentre gli accarezzava la cicatrice "Com'è accaduto?"

Era il momento che Mike temeva e che non voleva arrivasse.

La vergogna per quello che gli era accaduto lo sopraffece, ma quello che lo spaventava davvero, era di dover rivivere i momenti terribili di quella notte. Si rese conto che non avrebbe potuto tacere la verità alla persona che sentiva più vicina, cui aveva aperto il cuore.

Ingoiò a vuoto e fece un respiro profondo, era arrivato il momento di raccontare, ma prima di parlare capì, fu certo, che dopo sarebbe stato meglio. Che solo dopo aver raccontato, la vita sarebbe stata migliore. Aveva vissuto mesi di intensa vergogna, ma ora era certo che quella sofferenza sarebbe finita.

"È stato in aprile e fu mio padre a farmela, la sera in cui gli dissi del viaggio sulla Venture. Impazzì di collera, era ubriaco e cominciò a urlare che non mi avrebbe mai mandato con un gruppo di ricchi finocchi, anche se dicevano di essere benefattori e usò le parole peggiori che avessi mai ascoltato. Disse che quelli volevano solo scoparmi e che così sarei diventato un finocchio anch'io e che forse lo ero sempre stato, anche perché certamente non ero suo figlio. Credo che lui abbia reagito così perché aveva paura di perdere il controllo su di me. Io non ho ancora trovato una ragione per tutta quella violenza.

"E quella sera, per la prima volta nella mia vita, io reagii, gli risposi, anziché ascoltare in silenzio ed ubbidire, come avevo sempre fatto. Gli urlai che avrei partecipato alla crociera, con o senza il suo permesso. E lui si infuriò. Quando era ubriaco e voleva sfogarsi, se la prendeva con mia madre e mia sorella, perché avevano paura di lui e non si ribellavano. Raramente con me, non perché io reagissi, ma perché da un po' di tempo ero grande e grosso quasi quanto lui e forse aveva paura di me. Quella sera mi urlò bestemmie terribili, ma non si avvicinò.

"Allora, per evitare che degenerasse e anche perché avevo ancora paura di lui, ma tanta davvero, me ne andai nella mia camera e mi preparai per dormire. Mi spogliai, avevo addosso soltanto i boxer quando con un calcio spalancò la porta. Teneva una bottiglia in mano e ricominciò a gridarmi le stesse cose di prima. Poi venne verso di me, gli urlai di starmi lontano, ma lui si avventò e io gli detti una spinta. Non lo colpii forte, era solo una spinta per allontanarlo, ma era ubriaco e cadde all'indietro, sbattendo per terra e rompendo la bottiglia."

Parlava con gli occhi sbarrati come se stesse descrivendo delle scene che gli scorrevano davanti agli occhi. Erano incubi, più che ricordi.

"C'era whisky dovunque, con un odore anche peggiore di quello che si portava sempre addosso. Non sapevo che fare, non l'avevo colpito, era caduto da solo" fece un respiro profondo e François gli accarezzò la spalla, per rassicurarlo "si alzò molto lentamente, sperai che se ne andasse, perché pareva più tranquillo. Aveva ancora in mano il collo della bottiglia, potevo vederne i lembi appuntiti, lui invece si mosse verso di me, io mi spostai indietro, fin contro il muro. Avevo paura, non volevo colpirlo, allora misi le braccia dietro, per fargli capire che non avevo cattive intenzioni. E lui allora..."

Mike si bloccò, incapace di continuare, sopraffatto dai singhiozzi. Anche François piangeva, ma di rabbia. Desiderava di trovarsi in quella camera, per uccidere il padre di Mike e l'avrebbe fatto, lui non avrebbe avuto alcuno scrupolo a fare una cosa come quella. Il suo sangue era molto caldo, la sua ira in quel momento, incontenibile.

Lo strinse con quanta forza aveva nelle braccia, lo sentì sospirare, l'accarezzò e fu un tocco che parve placare la pena di Mike.

"È finita, fratello, è tutto finito" gli sussurrò, sforzandosi di controllare la voce "Sei qua con me, vedi? Lui non può più farti male, perché adesso hai me e se qualcuno anche solo provasse a farti soffrire, io l'ucciderei!"

Ripeté quelle parole, finché non riuscì a calmarlo e solo allora ascoltò la conclusione della storia.

"Io cerco di dimenticarlo, di non pensarci, ma mi ricordo tutto quello che accadde" riprese Mike con voce piatta "e mi dico sempre che non è reale, perché non è mai accaduta, poi sento la cicatrice, perché più che vederla, io la sento, in ogni momento, e allora so che è accaduto davvero ed è successo a me.

"Lui mi venne incontro, allungò il braccio verso la mia pancia. Io guardavo inorridito, incapace di difendermi, vidi la bottiglia rotta, i lembi appuntiti, tagliarmi i boxer e poi sentii incidere la carne. Tagliò verso il basso, verso il mio uccello, perché era quello che voleva mozzarmi. Il sangue cominciò a uscire, ma non sentivo dolore. Solo una sensazione di freddo, di gelo, dove la pelle era stata aperta. Allora lo colpii con un pugno, lo presi alla faccia, fu una reazione meccanica, istintiva e lui finì per terra, sempre con il collo di bottiglia stretto in mano. Io caddi all'indietro, ricordo che c'era sangue ovunque ed era il mio..." si fermò per riprendere fiato. Sebbene avesse parlato con calma, era affannato per lo sforzo di controllarsi, aveva la gola tanto secca che quasi non riusciva a parlare.

François non smetteva di incoraggiarlo, con gli occhi e con le carezze.

"Allora arrivò mia madre..." Mike tacque. Teneva gli occhi chiusi. François attese che pensasse, che trovasse la forza di ricordare.

"È andata proprio così..." disse a se stesso, come per convincersi "io cerco di non pensarci, di non ricordare, ma è andata esattamente come me lo ricordo..."

"Non ci pensare più... è accaduto mille anni fa..."

"No, Fran... no... è stato ieri, oggi, adesso. È dentro di me, su di me, come questo segno. Anche peggio! Senti... io... io non svenni subito... solo dopo, ma prima... ricordo tutto quello che accadde in quei momenti, anche se forse qualcosa me l'hanno raccontata. Credo di aver visto mio padre con le manette e due poliziotti che lo portavano via e gli infermieri che mi mettevano sulla barella. C'era un medico che urlava qualcosa, mentre cercava di fermare l'emorragia, di tamponare la ferita. Il dolore era forte ed io ero frastornato, ma ero cosciente. Almeno fino ad un certo punto. Quando mi svegliai era già il giorno dopo e mi trovavo in ospedale. Mia madre mi disse che ero stato alcune ore in sala operatoria, ma che la ferita non era grave, perché il vetro non aveva toccato nessun organo vitale. Era superficiale, insomma, e sarebbe stata solo brutta da vedere... disse che presto sarebbe diventata solo un ricordo, che non avrebbe avuto nessuna conseguenza per me! Che dovevo capire mio padre... che se era successo, era anche colpa mia..."

Mike rise amaramente.

"Capisci, Fran, nessuna conseguenza... mia madre disse così! E disse che era colpa mia..."

"È passato tutto. È finita!"

"Nessuna conseguenza... capisci? Perché a lei importava solo di lui e non aveva mai saputo dirgli di no... adesso ho capito che lei era contenta che ci trattasse tutti come animali. E in ospedale non faceva che ripetermi che dovevo stare attento a quello che dicevo alla polizia, perché la colpa era mia se mio padre si era comportato così! Che io l'avevo provocato..."

"Dove sono adesso tua madre e tua sorella?"

"Non lo so e... non lo voglio sapere!" disse con una voce dura che François non gli aveva mai sentito "Mi dispiace per quella bambina, ma ormai sono tutti morti per me!"

"E tuo padre?"

"Lui sta in galera. È stato condannato e spero che non esca vivo. Non voglio vederlo mai più. So che non dovrei, ma lo odio. Lo odio e basta! Ci ha trattati sempre come delle bestie! E se devo diventare come lui, preferisco morire! E odio anche mia madre..."

Adesso piangeva in silenzio, con il capo sulla spalla di François che l'accarezzava dolcemente sulla nuca.

"Tu non sarai mai come lui, sei diverso e adesso ci sono io con te e ti amo."

Mike l'abbracciò anche lui, gli si fece piccolo accanto, si aggrappò alle sue braccia, proprio come fosse un salvagente, perché sentiva di poter affondare.

"Promettimi che non mi lascerai mai andare, Fran, che mi salverai, che non mi farai diventare come lui" riuscì a dirlo, mentre piangeva.

Respirò profondamente, inalando l'odore di François che era di sudore, di carne, del piacere che si erano dati nella notte, ma gli parve la più dolce delle fragranze

"Il tuo profumo è così buono" disse dopo un poco "e tu sei meraviglioso! Ti amo tanto!"

"Anch'io ti amo, fratello!"

Tacquero, ascoltando i loro stessi respiri.

"Mi vergogno tanto per quello che mi è successo. So che non è colpa mia, ma ho dovuto dire le stesse cose tante volte. Ho fatto tutte le dichiarazioni alla polizia. Ero ancora in ospedale quando mio padre andò in tribunale. Lui ammise solo di avermi colpito, tentò di darmi la colpa, disse che prima io gli avevo dato un pungo. Due insegnanti e il preside della mia scuola testimoniarono per me, di tutti i maltrattamenti che subivamo io e mia sorella e così non dovetti andare io a deporre. Il tribunale non gli credette e lo condannarono.

"Io ho cercato di dimenticare, ma non ci riesco, perché mi basta pensare a questo marchio. Lo sento sempre, perché forse mi hanno ricucito male oppure è passato troppo poco tempo, ma quando mi muovo, sento sempre un poco tirare. I medici hanno detto che mi passerà, perché la ferita è superficiale e che io devo ancora crescere e forse dopo non sentirò più nulla. E poi lo sogno. Mio padre con la bottiglia rotta in mano. Quel collo di bottiglia, i lembi appuntiti, aguzzi. Adesso l'odore del whisky mi fa vomitare e mi ricordo che mia madre..." ricominciò ad agitarsi, a piangere.

François che non aveva mai smesso di accarezzarlo, cercò di calmarlo

"Basta adesso! Basta..."

"Aspetta, Fran, aspetta, ascolta. Devo dirti un'altra cosa, l'ultima, ma mi vergogno, mi vergogno a dirla, mi vergogno per lei. Tu però lo devi sapere che quella sera mia madre, invece di soccorrere me, aiutò lui ad alzarsi e l'accompagnò fuori dalla stanza. Ed io ho sentito che lo consolava e che mi accusava di essere un figlio disubbidiente e maleducato. La sentii, capii tutto, anche quando gli chiese se cadendo s'era fatto male, mentre io ero là sul letto e sanguinavo, come un maiale sgozzato!"

"Mi dispiace, fratello! Amore mio."

"Adesso capisci, perché non voglio più vederli, nessuno di loro? Lo capisci che sono orfano anch'io come te? Quando sono uscito dall'ospedale mi hanno messo in un istituto, perché hanno giudicato mia madre incapace di provvedere a me e a mia sorella. Anche la piccola adesso chissà dov'è. E poi finalmente siamo partiti! Ma non li rivedrò mai più, lo giuro! Se non avessimo fatto naufragio, ci avrei pensato al mio rientro in America, a sparire per sempre!"

"Pensa ad oggi, Mike, a noi due. Il domani è così incerto, almeno quanto è lontana una città o la nave che forse passerà mille miglia al largo di quest'isola. Pensa a noi, non sei felice adesso, piccolo?"

"Oh, si, tanto, Fran. Tanto da avere paura che possa finire! Tanto da avere paura di essere salvati. E da cosa poi?"

"Non finirà, te lo prometto. Sai, Mike, anch'io ho sofferto, non come te, ma in un modo diverso e anch'io voglio che questa felicità non finisca. Vedrai che noi due ce la faremo. Insieme agli altri, con l'aiuto di tutti e di Richard!"

"Lo so, lo spero. Mi sento meglio adesso, mi ha fatto bene parlarne. Sto meglio, sai? Mi vergognavo anche solo a ricordarmelo, adesso invece non mi importa più di nulla. Che mi vedano, lo racconterò a tutti. Forse me ne sono liberato per sempre e il merito è tutto tuo, soltanto tuo."

Si baciarono, accarezzandosi teneramente e se ne stettero abbracciati.

"Grazie, Fran, un milione di volte grazie. Adesso che ci sei tu e non sono più solo..." poi la sua voce si spense in un sussurro, perché era stremato dallo sforzo di ricordare.

François lo tenne fra le braccia, mentre si riassopiva.

Avrebbe voluto addormentarsi anche lui, ma non riusciva neppure a chiudere gli occhi al pensiero di quello che aveva ascoltato e a come ciò che era accaduto fra loro si spiegava e diventava tanto più prezioso. Anche Mike era praticamente solo al mondo, proprio come lui. Entrambi avevano ancora una madre e delle sorelle che per motivi diversi erano tanto lontane da essere perdute per sempre. E questo non poteva che avvicinarli, il loro futuro era pur sempre una strada difficile, ma da percorrere insieme, tenendosi per mano.

Quella notte era stata l'inizio di una nuova vita per loro, sempre che Mike avesse davvero e in tutto e per tutto i suoi stessi desideri, ma quella era un'eventualità che in quel momento non intendeva considerare, un pensiero che gli metteva paura. Ci sarebbe stato tempo per scoprirlo e l'avrebbe fatto per essere certo di tutto, ma non in quel momento, in quegli attimi preziosi di felicità in cui, anche dal suo cuore e dalla mente, erano spariti, rotolati via, i macigni che avevano appesantito gli ultimi due anni della sua vita.

Il recente passato di François era stato doloroso e triste, diverso da quello di Mike, ma non meno tragico.

Nessuno aveva lasciato cicatrici sul suo corpo o versato il suo sangue, né l'aveva tradito, almeno non di proposito. Lui però aveva sofferto tanto, sebbene non riconoscesse a se stesso neppure un millesimo delle sofferenze che Mike aveva dovuto sopportare. Era certamente l'amore a fargli sottovalutare i propri dolori, amplificando quelli dell'innamorato, perché entrambi avevano trascorso mesi o anni terribili.

Mentre Mike si assopiva stanco e sereno fra le sue braccia, la mente di François andò indietro, fino al momento in cui, nella vita spensierata che conduceva, era cambiato tutto, un tempo a cui poteva finalmente tornare con il sollievo non della soluzione, ma almeno con il distacco della lontananza, perché gli incubi che quei giorni avevano generato si erano come attenuati, perdendo spessore, diventando ombre da cui era sempre più facile difendersi.

Tutto era cominciato con la scoperta della malattia di suo padre, cui era seguita una lunga e dolorosa catena di sofferenze. Lui l'aveva amato, come un figlio può amare un uomo buono ed onesto. Ripensò a quei mesi, trascorsi sperando in una cura inesistente, poi in un miracolo, invocato, quasi atteso, per la fede incondizionata che animava tutta la famiglia. Infine la morte, ormai prevista, desiderata con disperazione, quando anche la fede pareva averli abbandonati. E in quel dolore, l'improvvisa discesa di sua madre nella depressione e poi nella pazzia, mentre lui tentava invano di tenere insieme i pezzi della famiglia nella loro casa in cui, senza i genitori, non potevano più restare.

In poche settimane tutto il suo mondo era andato in pezzi.

Di tutti i momenti brutti e tristi che aveva vissuto, il ricordo peggiore era del giorno in cui aveva visto allontanarsi l'ambulanza che portava la mamma in ospedale e la disperazione, quando aveva presentito, creduto di capire, che la colpa di quella distruzione, dell'esplosione della famiglia, potesse essere sua, perché, avendo solo quindici anni, non era in grado di prendersi cura delle sorelle più piccole che erano state affidate ad altre famiglie per essere poi adottate. Le piccole erano finite in posti lontani e sconosciuti a lui, per il quale inspiegabilmente non s'era trovata nessuna famiglia disposta a prendersi in casa un ragazzo nero della sua età.

E allora gli assistenti sociali, con una decisione incomprensibile, non avendo un posto per lui, l'aveva mandato in un centro correzionale, come fosse un criminale. E lui era tutto fuorché un delinquente.

All'inizio il senso di colpa gli aveva fatto accettare quella specie di carcerazione, come se fosse una pena da scontare per le sue colpe. Poi uno degli insegnanti, un sacerdote, un uomo gentile, l'aveva aiutato a capire, facendogli accettare tutti gli avvenimenti che avevano sconvolto la sua vita ed anche comprendere che l'esplosione della famiglia non era stata un suo fallimento personale, ma il perverso susseguirsi di eventi negativi. Trascorse in quell'istituto alcuni mesi, perché non si trovava nessuna famiglia disponibile ad accettarlo per quello che era. Un ragazzo ormai segnato, perché proveniente da un riformatorio, anche se innocente in tutto.

Là dentro era isolato, senza amici e senza speranza. Aveva pregato ogni giorno. La religione, la fede ritrovata, nonostante tutto, l'avevano aiutato a superare i momenti difficili, a convivere con colpe che credeva di avere e infine a resistere nella sua misera realtà. Pregava con disperazione, perché si trovasse una via d'uscita alla sua situazione, in un modo o nell'altro. Non avendo commesso alcun reato, non aveva una pena da scontare, perciò non c'era scadenza alla sua detenzione, se non la maggiore età, lunghi anni di prigione senza colpa e quella era una prospettiva che lo terrorizzava.

Pregò e cercò di essere buono, servì messa e aiutò il cappellano e un giorno, proprio quel buon prete gli parlò della Venture, di un viaggio offerto a dieci ragazzi per aiutarli. Quello disse proprio 'ragazzi difficili' e lui non accettò che lo considerassero tale.

"Chi vuole aiutarmi, padre?" aveva chiesto con l'amarezza che ormai permeava ogni sua parola "Io non sono un ragazzo difficile. Mio padre è morto, mia madre è impazzita e non so dove sono le mie sorelline. E sono in un riformatorio, anche se non ho commesso nessun reato, se non quello di essere nato nello stato del Massachusetts!"

"François!"

"Aiutarmi in cosa, padre?" aveva insistito "Forse ad accettare meglio la mia vita quando tornerò dal viaggio e rientrerò al riformatorio? Perché è qua che tornerò, non è vero? E sarà peggio di com'è adesso, di com'è schifosa la mia vita!"

Avrebbe voluto ancora urlare e disperarsi, ma ammutolì, come se parlandone avesse scoperto quanto fosse brutto e ingiusto il mondo in cui viveva.

"È tutta colpa vostra" borbottò piangendo, prendendosela con l'unica persona che cercava di aiutarlo.

Se era in quella situazione, era colpa della società, di un sistema che metteva in galera un ragazzo, non avendo un altro posto dove tenerlo. Il sacerdote, però, era un uomo tenace, quanto paziente e alla fine lo convinse a compilare ugualmente la domanda. Dovette gridare fino a costringerlo, ma alla fine ci riuscì.

"Quanto meno per riconoscenza" arrivò a urlargli padre O'Herne "e fallo per me che non voglio più vederti qua! Come devo dirtelo? Non c'è bisogno che tu torni!"

E così lo convinse, arrivando anche a suggerirgli qualcosa che François nella sua innata onestà non avrebbe mai neppure immaginato di pensare, l'idea scomparire in un momento qualunque di quel viaggio, di sparire, se solo l'avesse voluto.

La lettera di ammissione lo raggiunse il giorno del suo sedicesimo compleanno e, per la prima volta dopo molti mesi, sentì una piccola speranza accendersi nel cuore, perché, cogliendo il suggerimento di padre O'Herne, aveva deciso di scappare, una volta lontano dalle persone che avevano avuto fiducia in lui. Quel viaggio, come doveva aver previsto il sacerdote, sarebbe stata un'occasione irripetibile.

Decise che avrebbe cercato di scomparire in un posto qualunque, in quei mesi di navigazione. Un giorno, in un porto o in un altro, quando nessuno lo sorvegliava.

Poi però sulla Venture aveva trovato tutti i compagni e altre ragioni per continuare a vivere. Kevin che era come lui e l'aveva fatto sentire meno solo. Loro due erano subito diventati amici, fino a consolarsi di tutta l'infelicità delle loro vite. Scoprire che c'erano altri ragazzi che avevano sofferto quanto e più di lui, l'aveva incoraggiato e reso più forte. E poi c'era Richard la cui amicizia era stata così incondizionata e fiduciosa, che gli aveva impedito anche solo più di pensare ad una fuga, perché se fosse scappato, avrebbe messo nei guai un po' tutti, ma soprattutto Richard, sotto la cui personale responsabilità si muovevano quando non erano a bordo.

Richard che li accompagnava ovunque e non per controllarli, ma per il piacere di stare con loro, con l'amicizia che si era creata.

Durante quel viaggio era accaduto anche qualcosa di meglio: in realtà c'erano stati due uragani, non solo quello che aveva causato il naufragio. Perché nella sua vita era entrato Mike, anche se era stato sempre scontroso e ostile.

Lui ne era spaventato, adesso però sapeva che anche Mike era terrorizzato all'idea di diventare troppo intimo di qualcuno, figurarsi di un nero. Se n'era innamorato a poco a poco, proprio mentre Mike gli si rivoltava contro, minacciando di dargli un sacco di botte se avesse continuato anche solo a guardarlo. Da allora si erano evitati, come se fossero appestati. E poi proprio il secondo uragano, quello del naufragio, era servito a bucare la corazza, a superare le esitazioni, la paura, a mostrarli uno all'altro, per capire, uno dell'altro, quanta dolcezza ci fosse in ciascuno e quanta sofferenza avessero dovuto sopportare per giungere a quel punto, a quella confidenza.

A dispetto di tutto ciò che aveva sempre pensato, sull'omosessualità, sui bianchi e i neri, gli ispanici e tutti gli altri colori che può avere una pelle, pensò che forse Dio li aveva fatti arrivare sull'isola proprio perché si amassero e avessero cura uno dell'altro. E che quindi anche il suo amore per Mike fosse giusto e, sebbene un po' timoroso di essere un peccatore, chiese ugualmente a Dio una benedizione per loro due.

Guardò il cielo che era ormai chiaro, poi accarezzò il suo innamorato, ancora addormentato fra le sue braccia e si convinse che il Signore avrebbe volentieri benedetto il loro amore, e glielo chiese ancora, col cuore pieno di gioia e appagato in ogni desiderio. Chiese a Dio di tenerli uniti e di benedire quel legame. Mormorando una preghiera di ringraziamento, gli chiese che aiutasse Mike a non smarrire mai più la pace che forse aveva trovato.

Pregò per Richard, che avesse sempre la forza e la pazienza di guidarli e consigliarli. Pregò per Kevin, perché anche lui avesse pace, quella stessa appena trovata da Mike. Aveva capito, che sulle spalle magre di Kevin gravava un'altra brutta storia, una storia che il rosso non aveva ancora trovato il coraggio di raccontare a nessuno. Pregò per i piccoli che amava, come se fossero suoi fratelli. E pregò anche per le sue sorelle che erano in qualche casa, laggiù in America, e sperò che fossero felici e che avessero trovato una famiglia serena come quella che aveva trovato lui. Perché i compagni erano la sua famiglia, anche se non convenzionale.

Ad uno ad uno, i ragazzi s'erano svegliati, un po' perché s'era fatto giorno, un poco per i rumori che loro due avevano fatto. I letti non erano lontani e Mike non aveva parlato così a bassa voce come pensava di aver fatto. Dall'inizio l'avevano ascoltato Richard e Kevin che erano i più vicini, Manuel aveva sentito buona parte della storia e ne aveva dedotto facilmente il resto. Quando Tommy si era svegliato, gliene aveva bisbigliato una parte, evitando qualche particolare, ma destando ugualmente una grande impressione del piccolino. I tredicenni si erano accontentati di qualche parola di spiegazione mormorata da Tommy.

Quando il silenzio era tornato sul campo e Mike si era riassopito, mentre François pensava e pregava, i ragazzi avevano cominciato ad alzarsi, senza fare rumore. I tre stavano discutendo della storia appena ascoltata, ma a voce molto bassa, proprio per non svegliare Mike o disturbare François. Manuel e Tommy si erano asciugati le lacrime, Richard e Kevin erano andati verso l'amaca dove i due ragazzi erano ancora coricati.

Videro François che ancora cullava Mike con un'espressione di profonda felicità dipinta sulla faccia.

"Sei stato bravo, François" sussurrò Richard accarezzandolo "e sono contento per voi."

"L'avete sentito, vero?"

"Si, era difficile non ascoltarvi."

"Ehi, François" fece Kevin "stanotte hai creato un nuovo Mike. Sei stato incredibile, fratello!"

"No, no" si schermì con modestia, falsa, perché era terribilmente orgoglioso di sé e del suo innamorato "lui è stato là tutto il tempo" bisbigliò "aveva solo paura di essere giudicato male. Che qualcuno gli vedesse la cicatrice e pensasse chissà cosa di lui. Sono stato davvero fortunato che me l'abbia lasciata guardare!"

"Per lui deve essere stato terribile" disse Richard "Quando si sveglia pensi che dovremmo dirgli qualcosa o fare finta di niente?"

"A lui importa solo che lo accettiamo per quello che è, che non ci scandalizziamo per quel marchio che si porta addosso senza colpa. Adesso che sappiamo come se l'è fatto e in che famiglia è vissuto, sarà più facile no?"

Richard guardò le dita di François che continuavano ad accarezzare il ventre di Mike seguendo il segno irregolare della cicatrice.

Nel frattempo tutti gli altri li avevano raggiunti in silenzio ed erano attorno all'amaca.

Mike si stiracchiò, senza ancora aprire gli occhi.

François l'accarezzò, lo guardò, poi notò l'espressione ingenua, sempre fiduciosa. Possibile che in quegli occhi, in quel volto ci fosse tanto candore e quel cuore e il corpo avessero sofferto tanto? Lo baciò e lui non capì ancora quello che stava accadendo.

Finalmente si guardò intorno. Prima vide Richard e Kevin che lo osservavano sorridenti, anche lui sorrise con la stessa dolcezza, ma sempre senza capire.

"Ciao" gli dissero insieme.

"Richard, Kevin" li salutò, poi guardò meglio e notò che tutti gli altri erano attorno all'amaca "che ci fate qua?" e nel dirlo si rese finalmente conto di essere nudo.

Fece per coprirsi, poi pensò che quelli erano là da chissà quanto e che avevano già visto tutto quello che c'era da vedere. Il vecchio Mike, quello della sera prima, sarebbe diventato così rosso da esplodere per la vergogna. Quello nuovo, di quella mattina luminosa, la prese con filosofia ed arrossì solo un poco, voltandosi quel tanto che bastava perché una gamba di François gli coprisse il pube e solo quello.

"Mike..." prese a dire Richard, dopo aver tirato un bel sospiro e cercando di scegliere le parole "vedi, noi, non volendo, ti abbiamo sentito prima, mentre raccontavi di te a François. Qua siamo così vicini che sarebbe stato impossibile non ascoltare. Perciò volevamo dirti che tutti ti vogliamo bene, anche più di prima, se possibile, e crediamo che tu sia stato veramente coraggioso. E soprattutto siamo contenti che tu abbia deciso di raccontare tutto ad avere fiducia di François ed involontariamente anche di noi che per sbaglio ti abbiamo sentito. E speriamo che vorrai perdonarci!"

"Oh, Richard, no, non importa. Sono contento che l'abbiate sentito anche voi, così, insomma non devo ripeterlo!" sorrise, poi tornò improvvisamente serio "Ehi, Richard, Kevin... a voi due voglio dire una cosa... voglio dirvi un'altra volta quanto mi dispiace per le mie parole di ieri. Io non volevo offendervi. E adesso, se mi perdonate, vorrei solo che diventassimo sempre più amici, perché il mio più grande desiderio e che François ed io possiamo essere come voi, come vi amate voi due. E poi, Richard, io voglio ringraziarti per essere stato così buono con me, anche se io mi sono comportato sempre così male. Non me lo perdonerò mai!"

"Ehi, fratello, tra noi non c'è bisogno di scuse. Davvero! Non con quello che ci sta accadendo! Va sempre tutto bene!" lo rassicurò Richard.

"Comunque, Richard, grazie per aver avuto pazienza con me... io potevo... insomma penso di non aver mai meritato la tua gentilezza! Io non pensavo che..."

"Oh, basta adesso, Mike!" poi aggiunse sorridendo "Senti... posso toccare la tua cicatrice?"

Mike ne fu sorpreso e anche imbarazzato.

"Perché?"

"È parte di te ed io sono tuo amico!"

"Si, se vuoi... credo di si, lo puoi fare."

Richard molto delicatamente fece correre le dita lungo la cicatrice, sulla pelle nodosa e tumefatta che si era appena formata per chiudere i lembi della ferita.

Guardandolo negli occhi gli disse: "Vorrei poterti togliere tutto il dolore che hai dentro, fratello!"

Lo fece con un affetto che colpì profondamente Mike, l'accarezzò sul ventre e sul petto e passatagli la mano dietro la nuca si abbassò a baciarlo sulla guancia. Poi si spostò, sempre sorridendo ad un Mike ancora sorpreso, ma sicuramente contento per quella manifestazione d'affetto.

Anche Kevin fece così, lasciando spazio a Terry, poi a Joel e Angelo che con mani tremanti sfiorarono anche loro la cicatrice, anche se nessuno dei tre baciò Mike.

I tre ragazzi parevano aver instaurato un legame telepatico fra loro. Facevano gli stessi movimenti, parlavano molto fra loro, ma delegavano sempre ad uno l'espressione delle idee di tutti e tre. E quando uno faceva qualcosa, gli altri la ripetevano senza neppure pensarci. Così, quando Terry non baciò Mike, fu ovvio che gli altri due non l'avrebbero fatto.

Poi si fecero avanti Manuel e Tommy tenendosi per mano. Manuel aveva un cuore che sentiva il dolore degli altri e lo soffriva in perfetta simpatia. Era in lacrime un'altra volta, dopo aver già pianto ascoltando il racconto. Gli prese una mano.

"Mike, amico" disse "sei veramente in gamba, come persona, intendo. E siamo davvero fortunati che tu sia qua con noi. Ti voglio bene!"

Si abbassò e l'abbracciò gettandogli le braccia al collo, lo baciò.

"Sono io quello più fortunato, fratellino" disse Mike "perché tu hai un cuore così grande. Non piangere, però. OK? Adesso sto bene, sai? Meglio di quanto potessi mai sperare. Voi ragazzi siete i migliori!"

Tommy si gettò su Mike e andò a piantargli sulla cicatrice un bacio schioccante: "Ecco fatto" gridò "sono contento di averti come fratello maggiore!"

Anche Mike lo baciò sulle guance: "E tu non cambiare mai, piccolo!"

"Fra un po' vedrai" disse Tommy ridacchiando "diventerò grande e grosso come te! E sarò in grado di spruzzare come ha fatto Manuel sulla mia pancia stanotte!"

Manuel si coprì la faccia con le mani per l'imbarazzo, mentre gli altri scoppiavano a ridere.

"Stampella, devo fare la pipi!" urlò François strattonando Mike, mentre gli altri se ne andavano a prepararsi.

La giornata cominciava davvero.

"Ragazzi, abbiamo un sacco di cose da fare. Direi che è arrivato il momento di metterci al lavoro!"

Gli si erano seduti attorno e l'ascoltavano attenti.

"Perché? Fino a ieri che abbiamo fatto? Sono a pezzi io!" borbottò Kevin, ma a voce abbastanza alta perché Richard lo sentisse e gli tirasse un pizzicotto sul braccio.

"Povero caro, hai tutte le mani rovinate" fece François con una voce serissima, mentre Mike lo guardava incuriosito e piuttosto perplesso.

"Oh, non me ne parlare" gli tenne dietro Kevin "neanche in un mese riuscirò a riavere le unghie curate che avevo a Boston!"

"Ci hanno fatto sgobbare per due mesi a tirare corde e a lavare la coperta con gli spazzoloni" rincarò François "anch'io ho i calli alle mani! Ma ci pensi?" e Mike fece una faccia esterrefatta.

"Ragazzi, basta, per favore!" gridò Richard, cercando di non ridere, ma soprattutto per mettere fine al baccano che quei due avevano suscitato, cui contribuivano soprattutto le tre pesti e Tommy che si stavano sganasciando dalle risate, mentre Manuel rideva in modo molto più garbato e Mike si guardava intorno in cerca di una spiegazione.

In un attimo fecero tutti silenzio, ma Kevin non rinunciava a mostrare ancora a François le sue unghie spezzate, mentre si massaggiava contrariato il braccio per il pizzicotto ricevuto.

"Prima di tutto dobbiamo trovare un modo pratico e veloce di pescare" disse Richard, dopo aver finalmente ottenuto l'attenzione di tutti.

Poi guardò Kevin che l'accusava con gli occhi e con i gesti di avergli provocato un livido sul braccio e si decise a scusarsi baciandogli la parte presumibilmente offesa.

"Dicevo" si ricompose e tornò ad essere il Richard serio che tutti conoscevano "che dobbiamo trovare subito un modo efficiente di pescare. Usare la canna va bene, ma rischiamo di passare così tutte le nostre giornate. Siamo nove e abbiamo bisogno di molto cibo, abbiamo anche parecchie cose da fare e pure in fretta, perciò non possiamo trascorrere il nostro tempo prendendo i pesci al volo, anche se Terry è bravo a farlo. Dalla Venture abbiamo recuperato delle reti, qualcuno di voi ha mai usato una rete?"

I ragazzi si guardarono l'un l'altro, ma nessuno rispose.

"Poco male: impareremo. Andremo nella laguna con la lancia e cominceremo ad usarla. Non sarà difficile e vedrete che ci riusciremo. Poi, ed è la più urgente di tutte le nostre esigenze, dobbiamo costruire un rifugio che ci ripari se dovesse arrivare qualche tempesta.

"L'altra cosa importante, essenziale anche questa e pure urgente, è che dobbiamo esplorare la terra sulla quale siamo finiti. Prima di tutto per scoprire se ci sono altri superstiti della Venture e poi perché abbiamo bisogno di avere più notizie per stabilire quello che dovremo fare in futuro. Sono abbastanza sicuro che questa sia una piccola isola, ma dobbiamo sapere quali sono esattamente le sue dimensioni, se è abitata da altri esseri umani e se ci sono altre isole qua attorno che si possano raggiungere, se sono abitate, se possiamo comunicare in qualche modo.

"Poi dobbiamo scoprire quello che possiamo sulle piante e sugli animali che vivono qua, perché potrebbero essere una fonte di alimento per noi. Abbiamo dei libri per riconoscere le piante. Li dobbiamo studiare con attenzione per capire quali piante sono commestibili e quali velenose oppure dannose alla nostra salute. E dobbiamo scoprire se ce ne sono di curative, perché anche se abbiamo parecchie medicine, potrebbero non essere sufficienti se la nostra permanenza dovesse prolungarsi.

"Se siete d'accordo, domani cercheremo di scalare la cima della montagna e guardarci intorno. Mentre saliamo osserveremo piante ed animali. Da lassù potremo anche decidere quali altri posti esplorare meglio.

"Questo è tutto quello che mi è venuto in mente, per il momento. Ci sono altre idee? Qualcuno ha pensato ad altro?"

"Già così mi pare che ci sia abbastanza da fare" disse Kevin, mentre tra i ragazzi era sceso un silenzio preoccupato e nessuno aveva più voglia di scherzare.

"Si, ma non dobbiamo scoraggiarci, né affannarci" li tranquillizzò Richard "Per oggi cercheremo di raccogliere e catalogare il materiale che abbiamo recuperato. Poi penseremo a quello che abbiamo da fare. E domani andremo ad esplorare l'isola."

"Ehi Richard" era Mike, esitò, era un poco a disagio "voglio solo dire che alla mia scuola avevamo un buon programma di attività manuale e ho imparato a fare un sacco di cose, io ho anche iniziato a progettare delle costruzioni di legno. Insomma, me la cavo bene a disegnare e a fare i calcoli dei pesi e delle proporzioni" avvampò, perché era davvero timido e per lui era difficile parlare in pubblico e soprattutto dire bene di sé "Beh, quelli che realizzavo erano soltanto dei modellini, ma i calcoli che facevo erano gli stessi che se avessi dovuto costruire davvero quelle case, cioè, quasi! E poi è l'idea quella che conta, no?"

"Ottimo, Mike, davvero" fece Richard, sollevato soprattutto all'idea di non dover imparare a progettare il rifugio "allora incomincia a pensare alla nostra casa. Che sia grande e solida!"

"E anche confortevole!" aggiunse Kevin.

"E mi raccomando la cucina, che sia comoda e funzionale!" aggiunse François fra le risate di tutti.

"Grazie, Richard. Se tu ce lo permetti, con François cercheremo di fare un inventario di quello che abbiamo e quindi potremo cominciare a progettare."

"Va bene, Mike. Credo che vada bene così."

"Ri-chard" gridò Angelo, agitato, avvampando "senti... io... io... vo-vo..." e incespicò sulla parola che stava per dire, inciampando nella sua balbuzie che solitamente non lo angustiava, ma che era evidente quando doveva parlare davanti a molte persone.

Ed era un grande sforzo per lui che aveva passato parte della sua vita cercando di non farsi notare dagli altri.

"Dai, fratellino, coraggio!" l'incitò Terry.

"Volevo dire" fece allora Angelo, sempre esitante, ma già più calmo "che... che, se tu vuoi, posso aiutare Mike a disegnare la nostra casa. Io so disegnare, un po-poco!" e nel dirlo arrossì ancora di più, però sostenne lo sguardo di Mike che pareva doverlo valutare là stesso.

"Lo so che sei bravo! Ehi, Mike, ti va se Angelo ti aiuta a progettare la casa?"

"Certo!"

"Oh, vi amo tutti, Mike, Angelo, anche Richard" disse allora François, ridendo "ma la progettazione e soprattutto la carpenteria non sono il mio forte, perciò accontentatevi di questa specie di pittore!"

Risero tutti un'altra volta.

"Bene, allora siamo d'accordo" concluse Richard "adesso diamoci da fare!"

Si organizzarono e lavorarono duro per ordinare e fare una specie di elenco di quello che avevano salvato. E fortunatamente non era poco.

La giornata corse via velocemente. Oltre al lavoro pesante di spostare e accatastare il materiale, recuperandolo anche dalla sponda opposta della laguna, trainandolo con la barca a forza dei remi, riuscirono a fare qualche tentativo di pesca con la rete. Ci provarono un po' tutti, dalla lancia e dal canotto, ma i risultati migliori li ottenne Terry che aveva una buona esperienza di pesca, anche se in un ambiente completamente diverso, cioè in un lago. Quando fu in barca andò a mettersi al centro della laguna e, istintivamente, riuscì a trovare il punto di passaggio di alcune correnti calde, proprio quelle seguite dai pesci che finivano invariabilmente nella rete.

Quando fu buio, la stanchezza li assalì improvvisa e i piccoli crollarono tutti insieme, addormentandosi praticamente con i piatti in mano. Tanto che Richard e Kevin furono costretti a prendere in braccio Angelo e Joel e posarli su di un materasso, mentre Terry ci andò per conto suo, anche se Mike ce lo portò quasi di peso. Manuel e Tommy erano abbracciati e già dormivano, Kevin riuscì a farli rotolare su un altro materasso senza che si svegliassero.

Poi Richard chiese a Mike e François di sedersi accanto lui e attesero che Kevin li raggiungesse.

"Com'è stata la giornata, ragazzi?" chiese Richard sorridendo.

"È stata meravigliosa e faticosa" fece Kevin ridendo.

Mike e François si strinsero in un abbraccio e si guardarono negli occhi.

"Si" disse Mike "è stato tutto così incredibile!"

"Si, ma... ehi..." fece François, prima guardando Mike poi rivolgendosi a Richard e Kevin "volevamo dirvi una cosa. Non credo che io e questo testone ci saremmo trovati così presto, se voi due non ci aveste fatto vedere che era possibile! E volevamo ringraziarvi per questo."

"Allora il merito è tutto di Kevin. Certamente non mio!" si schermì Richard.

"Oppure la colpa" fece pronto il rosso.

"Va bene, ma adesso parliamo di cose serie!" disse Richard "Vorrei chiedere a voi due e anche a Kevin di dividere con me qualche preoccupazione. Noi quattro siamo i più grandi qua e credo che tocchi a noi prenderci qualche responsabilità in più, ragazzi."

Tutti e tre lo guardavano attenti. Era un momento speciale, lo capivano, stavano per assumere un impegno importante e da adulti, che forse era il primo di reale responsabilità nella loro vita. Prima era toccato a Richard di farsi carico di tutti loro ed ora lui stava chiedendo aiuto.

"Io farò sempre la mia parte" proseguì "ma vorrei che voi mi foste vicini nelle decisioni, mi aiutaste e mi consigliaste sempre, anche quando credete che non ce ne sia bisogno. Il nostro primo obiettivo è quello di sopravvivere, ma forse trascorreremo parecchio tempo su questa isola e quindi dobbiamo cercare di vivere meglio possibile, perciò dobbiamo porre la massima attenzione nel non farci male, perché non sapremmo come curarci. L'ho già detto e lo ripeto: dobbiamo stare attenti. Lo so che siamo ragazzi e poi abbiamo i piccoli che sono così vivaci ed esuberanti, per non dire peggio. Non possiamo pretendere che stiano sempre attenti e neppure noi stessi sapremmo farlo, ma cerchiamo di essere prudenti e controlliamoci noi per primi, e poi controlliamo loro. Posso contare su di voi, allora?"

Ovviamente erano tutti d'accordo, soddisfatti di essere coinvolti e consapevoli anche di assumersi una responsabilità notevole.

"Oggi sono stato un po' a pensare, mentre correvamo da una parte all'altra."

"Adesso capisco perché non facevi altro che inciampare" disse ridendo Kevin, suscitando l'ilarità degli altri.

"Beh, comunque, fra una scivolata e l'altra, ho pensato che potremmo dividerci un po' i compiti, per quanto è possibile. Che ne dite? Vi va di farlo?"

"Certo, Richard!" disse François, serio "Chiedici quello che vuoi!"

"Mike, vorresti occuparti di progettare e costruire la nostra casa?"

"Oh, grazie, Richard, tu pensi davvero che io ce la possa fare?"

"Ne sono convinto e fatti aiutare da Angelo per i disegni. Ne ho visti fatti da lui sulla Venture e so che è davvero in gamba! E soprattutto ha una grande fantasia."

"Si, si, certo, lo so già!"

"Abbiamo l'ingegnere e l'architetto dorme già. François, tu come te la cavi a cucinare?" chiese ridendo, visto che conosceva già la risposta, perché François aveva aiutato spesso e con molto successo il cuoco della Venture.

"So fare qualcosa e tu lo sai, no?" e rise anche lui "Mia madre era molto brava e a me piaceva guardarla. Va bene?"

"Direi che abbiamo trovato chi non ci farà morire di fame e, anzi, ci nutrirà bene. Signori, ecco a voi il responsabile della cucina e del vettovagliamento. Facci mangiare, François e ricordati che la cosa più importante è di non farci annoiare. Scegliti un aiutante, anche perché non devi affaticare la gamba. Hai in mente qualcuno?"

"Credo che uno fra Manuel e Joel possa andare bene, perché Tommy farebbe solo confusione. E Mike, oltre ad Angelo, avrà bisogno di avere sempre a disposizione Terry che è più forte, no?"

"Ben detto! Domani comunque chiederemo ai ragazzi se sono d'accordo con queste nostre decisioni" poi si voltò verso Kevin "e tu, amore mio, cosa credi di poter fare?"

"Non potrei essere semplicemente la first lady?" fece serissimo Kevin, atteggiandosi a gran dama, facendo scoppiare tutti in una risata incontenibile e rumorosa che rischiò di svegliare tutto il campo "potrei occuparmi di beneficenza e degli orfani" continuò imperturbabile Kevin "qui a Venture Island ne abbiamo già tanti!"

Riuscirono a calmarsi e non fu facile.

"Tu, bello mio, ti occuperai del campo e della cambusa, dei vestiti, di far lavare quegli sporcaccioni, di tenere le unghie sempre pulite e di controllare che non combinino guai. Non è un compito da poco! Tommy ti aiuterà per quanto possibile e, a questo punto, direi che Manuel starà anche con te! Che ne pensi François?"

"Per me va bene!"

"E a me non lo chiedi, se va bene? Lo sapevo che avrei dovuto fare io il lavoro sporco! Si, si, va bene, lo farò!" disse Kevin tutto d'un fiato.

"Ovviamente io lavorerò con tutti. Grazie ragazzi... io..."

"No, Richard... grazie a Dio per averti salvato e grazie a te, perché ti prendi cura di noi!"

"Si, François ha ragione" aggiunse Mike "ringraziamo Dio per averti qua con noi. Noi... beh, abbiamo pregato per te oggi."

Richard fu tanto commosso e toccato da quella dimostrazione di affetto, che non riuscì più a parlare.

"E... posso dirti un'altra cosa, Richard?" insisté François, con il suo sorriso più dolce.

"Poi andiamo a nanna però!" fece Kevin che sbadigliava senza più preoccuparsi di nascondere la stanchezza.

"Se non fossi già innamorato di lui" e indicò un felicissimo Mike "credo che mi innamorerei di te!"

"L'avevo detto che non dovevamo fermarci a parlare con questa gente!" fece Kevin, saltando in piedi, improvvisamente sveglio "Andiamo, su... andiamo via" e cominciò a tirare Richard, ancora emozionato, mentre gli altri due si sganasciavano dalle risa.

Mike portò François fino alla loro amaca, mentre Kevin e Richard andarono a coricarsi accanto a Manuel e Tommy.

Il fuoco si spense lentamente, lanciando piccole scintille. I ragazzi erano tutti addormentati, stretti gli uni agli altri.

Richard stringeva a sé Kevin che era già nel mondo dei sogni. Guardò il cielo stellato e gli chiese della loro fortuna.

Erano felici? Certamente si.

Non aveva alcun dubbio. Vivevano in mezzo a tanti potenziali pericoli, tanti che non riusciva più a ricordarseli tutti, ogni tanto gliene veniva in mente uno nuovo, ma gli bastava guardare il sorriso innamorato di Kevin, oppure la felicità che era nata fra Mike e François, la gioia di vivere dei piccoli, la serenità ritrovata di Tommy accanto a Manuel, per rendersi conto che i veri pericoli per loro non erano sull'isola, ma molto lontani, più a nord e molto più a oriente.

Chiuse gli occhi anche lui e finalmente si addormentò.

TBC


lennybruce55@gmail.com

Il nome 'Lenny Bruce' è presente nella sezione "Stories by Prolific Net Authors" (http://www.nifty.org/nifty/frauthors.html) con l'elenco degli altri romanzi e racconti che ho scritto e pubblicato su Nifty.

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